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Il ricatto del bove: Trump arruola pure le vacche nella crociata Usa

- di: Marta Giannoni
 
Il ricatto del bove: Trump arruola pure le vacche nella crociata Usa

Nell’ennesimo show protezionista, il tycoon esulta per l’ok australiano alla carne americana. Ma è un bluff commerciale: l’effetto è minimo e il tono è da reality show globale.

(Foto: fotomontaggio di Trump con il bove).

Donald Trump non si smentisce mai: ogni occasione è buona per rivendicare una vittoria, anche quando i numeri raccontano un'altra storia. Stavolta, il palcoscenico è il commercio internazionale di carne bovina. L’ex presidente, oggi di nuovo alla Casa Bianca, ha annunciato con enfasi su Truth Social che “l’Australia ha accettato di accettare la carne bovina americana!”. Lo fa nel suo stile: toni trionfalistici, zero dati, tanto marketing. E un messaggio nemmeno troppo velato agli altri Paesi: “Sono avvisati”.

Ma dietro l’apparente apertura australiana si nasconde l’ennesimo episodio della saga “Sola America”, in cui Trump – con un misto di propaganda e prepotenza – arruola perfino mucche e vacche nella crociata sovranista. Il “ricatto del bove” è servito.

L’annuncio su Truth Social e il solito monito

La notizia è del 24 luglio 2025. Dopo anni di limitazioni sanitarie, il governo australiano ha deciso di rimuovere il bando sull’importazione di carne bovina statunitense proveniente anche da animali nati in Canada o Messico ma macellati negli Usa. Trump ha subito celebrato l’evento come un successo personale: “Ora venderemo così tanta carne all’Australia… è la prova inconfutabile che la nostra carne è la migliore e più sicura al mondo”.

Poi la minaccia: “Gli altri Paesi che rifiutano la nostra magnifica carne sono avvisati”. Non è la prima volta che il presidente utilizza un prodotto agricolo per intimidire governi esteri e forzare l’apertura dei mercati: accadde con la soia in Cina, con il vino francese, con l’acciaio europeo. Ora è il turno della bistecca patriottica.

Canberra minimizza, ma il settore si spacca

Il governo australiano, tramite la ministra dell’Agricoltura Julie Collins, ha dichiarato che la decisione è frutto di una lunga revisione tecnica, durata anni. “Rispettiamo rigorosi standard di biosicurezza – ha detto – e questa apertura segue nuove garanzie tracciabili fornite dagli Usa”.

Ma il mondo agricolo non ci sta. Cattle Australia, l’associazione nazionale dei produttori bovini, ha definito la decisione “politicamente compromessa” e “rischiosa per la nostra reputazione mondiale”. Il leader dell’opposizione, David Littleproud, ha chiesto una revisione parlamentare indipendente: “Così si mette a rischio l’intera industria australiana per fare contento Trump”.

Il mercato della carne australiana vale 14 miliardi di dollari l’anno. Nessuno, finora, era disposto a sacrificarlo per fare spazio alla bistecca trumpiana.

I numeri smontano lo show

L’impatto reale della decisione è minimo. Secondo i dati USDA, nel 2024 gli Usa hanno esportato verso l’Australia solo 269 tonnellate di carne bovina, una cifra ridicola rispetto alle oltre 150.000 esportate nella direzione opposta. E non è previsto un cambio radicale: i prezzi della carne americana sono alti, la domanda australiana è bassa, e la preferenza dei consumatori resta per il prodotto locale.

Come ha dichiarato Matt Dalgleish, analista della società Thomas Elder Markets: “È una vittoria simbolica per Trump, ma da un punto di vista economico è irrilevante. Non cambierà gli equilibri del settore”.

Sola America: protezionismo mascherato da patriottismo

Trump continua a vendere come trionfi quelli che sono semplici gesti tecnici. E lo fa con la consueta logica muscolare: o accettate i nostri prodotti o sarete puniti. Ma questa volta il bersaglio è debole: l’Australia è già il più grande esportatore di carne bovina del mondo, con controlli sanitari tra i più severi. E Washington non ha strumenti di pressione reale su Canberra, se non il peso simbolico delle relazioni strategiche.

La decisione australiana appare piuttosto come un gesto diplomatico, forse utile a contenere l’aggressività trumpiana prima del previsto vertice bilaterale tra Trump e il premier Anthony Albanese, in programma a Honolulu il 30 luglio prossimo.

Il bove come portabandiera

Resta l’immagine tragicomica di una presidenza che arruola bovini nella sua crociata identitaria. Dopo l’acciaio, il mais e il whisky, ora anche la carne diventa uno strumento di pressione geopolitica. Trump, ancora una volta, trasforma l’ordinaria amministrazione commerciale in una tappa del suo reality show personale, dove l’America è sempre vittima, e il mondo intero deve adeguarsi.

Il problema è che questo approccio, oltre a ridicolizzare i rapporti multilaterali, rende le relazioni economiche sempre più instabili. E mentre la Cina osserva e incassa, l’Europa è costretta a rincorrere e difendersi.

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