Poli opposti (del lusso) attratti dal Made in Italy

- di: Stefania Assogna
 

Grazie al sostegno del Comune di Milano, la Camera Nazionale della Moda Italiana ha aperto ancora una volta alle sfilate le porte della Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale. Protagoniste di questa speciale Sala Sfilate sono le quaranta sculture del settecento raffiguranti le figure mitologiche che inevitabilmente riconducono al mito di MEDUSA, e alla raffigurazione mitologica del medaglione, divenuto il simbolo logo di VERSACE. Avremmo potuto parlare delle linee fluide e dei colori che saranno il must have della primavera/estate 2019, dell’entusiasmo, dei compratori, del successo che l’evento milanese suscita ogni volta e di come trasformi la città di Milano in una elegante signora in abito da cocktail, ma nell’ultima giornata della settimana la notizia principale arriva lontana dalle passerelle: la famiglia Versace ha venduto la società agli americani di Michael Kors. Il valore dell’operazione ammonterebbe a due miliardi di dollari (1,7 miliardi di euro) e per noi, che essenzialmente trattiamo di finanza è impossibile non dedicare la nostra attenzione a questa notizia.
Il gruppo Versace per il 20% è attualmente in mano al fondo americano Blackrock e il resto alla famiglia. Il suo giro d’affari, nel 2016, è stato pari a 686 milioni di euro.
Un altro pezzetto di Made in Italy che se ne va.
Intanto dobbiamo capire “chi” compra il nostro Made In Italy.
I principali compratori di marchi, italiani e non, sono i due colossi francesi:

Gruppo Kering e Lvmh Moët Hennessy-Louis Vuitton.
Il Gruppo Kering-ex PPR fondato nel 1963 da François Pinault, inizialmente impegnato nella produzione di materiali da costruzione e che sola dalla metà del 1990 diventa uno dei protagonisti di maggior rilievo nel settore della distribuzione finchè non arriva a far parlare di sé per l’acquisizione di prestigiosi marchi italiani quali: Gucci, acquistata nel 1999 che poi, nel  2001 rileva a sua volta Bottega Veneta, assumendo una posizione di rilievo mondiale nella produzione di lusso di beni artigianali in pelle. Oltre a Brioni, azienda romana leader nell’abbigliamento maschile su misura di qualità e successo in tutto il mondo, nel 2013 il Gruppo Kering diventa l’azionario di maggioranza della Pomellato, azienda leader nel panorama gioielli-making, presente nel mondo con 80 negozi monomarca e circa 600 tra In-Shop e Corner dedicati all’interno di realtà commerciali di lusso.

Diretto concorrente dI Kering è il Gruppo Lvmh Moët Hennessy-Louis Vuitton, noto  con acronimo Lvmh che dal 1987 ha registrato una crescita esponenziale, conseguenza di una strategia di sviluppo del marchio e dell’espansione della propria rete di investimenti internazionali. Tra i settori d’interesse di Lvmh c’è moda e pelletteria, orologi e gioielli, e tutto ciò rigorosamente selezionato in ambito del lusso, in cui  diventa leader mondiale. Il colosso francese, nel suo processo d’internazionalizzazione, negli anni ha rilevato importanti griffe della moda. Tra i più recenti e rinomati nel 2000 acquisisce Emilio Pucci; l’anno successivo è la volta della maison Fendi, creata nel lontano 1925, e acquistata da una joint venture fra la Lvmh appunto e il Gruppo Prada. Poi nel 2011 tocca alla storica azienda orafa fondata nel lontano 1884 da Sotirio Bulgari in via Dei Condotti a Roma, con un’operazione del valore di circa 4,3 miliardi di euro. Nel 2013 il Gruppo Lvmh rileva il celebre marchio del cachemire Loro Piana per due miliardi di euro. L’azienda familiare ha ceduto l’80% delle sue quote al Gruppo francese, conservando una partecipazione nella società pari al 20% e mantenendo le funzioni alla guida dell’azienda.

Da non sottovalutare il Giappone, con Itochu Corporation, Gruppo finanziario di rilevanza internazionale fondato nel 1858 per promuovere il commercio nel Giappone; in seguito ha fondato una società affiliata negli Stati Uniti (1918) per favorire lo scambio delle merci e dei servizi nei settori tessile, aeronautico, elettronico. Il suo sviluppo è legato all’acquisizione sui principali mercati internazionali di partecipazioni in società presenti nel settore del commercio. Dagli anni Novanta il gruppo ha esteso la sua attività e assunto il ruolo di società finanziaria. Detiene quote di capitale in aziende che operano nei settori alimentare, chimico, commerciale, tessile, dell’ingegneria industriale, dell’energia, dei metalli e minerali, aeronautico, elettronico, della finanza, delle assicurazioni e dei servizi logistici. Il gruppo è presente in oltre 80 paesi e ha sede a Osaka. Nel 2001 è stata fondata la Marubeni-Itochu Steel Inc. Nel 2002 il gruppo finanziario ha raggiunto un accordo di natura commerciale con la provincia cinese dello Shandong per lo sviluppo della società nel territorio. La giapponese Itochu Corporation acquista:  Mila Schön, Conbipel, Sergio Tacchini, Belfe e Lario, Mandarina Duck, Coccinelle, Safilo, Ferrè , Miss Sixty-Energie, Lumberjack e Valentino S.p.A. Quasi tutte queste aziende sono state poi rivendute sempre ad aziende straniere.

E VERSACE?  Sembra cosa fatta l’accordo con il gruppo americano Michael Kors, che un anno fa aveva comprato per quasi 900 milioni di sterline (circa 1 miliardo di euro ai cambi dell’epoca) il produttore di scarpe Jimmy Choo e che da tempo sta cercando di formare un polo del lusso americano in grado di contrapporsi ai colossi francesi Lvmh e Kering. La griffe tutta italiana fondata alla fine degli anni Settanta dallo stilista calabrese Gianni Versace, da sempre è molto rinomata e apprezzata nel mercato USA.
L’accordo che prevede, tra l’altro, l’uscita di scena del fondo Blackstone, che deteneva una quota del 20% della maison italiana, mentre la famiglia Versace manterrà una partecipazione di minoranza in cui tuttavia Donatella Versace, attuale vicepresidente, e la figlia Allegra, dovrebbero mantenere una parte del pacchetto azionario.
Il valore dell’operazione ammonterebbe a due miliardi di dollari (1,7 miliardi di euro).
Quanto vale il settore Tessile-Moda Made in Italy?
Citiamo testualmente le dichiarazioni di Claudio Marenzi, Presidente di Confindustria Moda, riportati nell’articolo pubblicato a maggio 2018 su Fashion Network: “L’export è aumentato del 3,5%, superando i 30,5 miliardi di euro, con mercati quasi tutti in crescita. In rallentamento solo Stati Uniti (-1,7%), che restano però il terzo mercato di riferimento per le esportazioni italiane, e il Giappone, calato dell’1,2%. Buone le performance in Svizzera, che ha segnato un +15% ed è il nostro quarto mercato, e in Cina, +14%, dove si assiste a una crescita del prodotto premium a fronte di un rallentamento del lusso estremo. Si tratta a mio avviso di una normalizzazione del mercato, come già accaduto in Russia, che lo scorso anno ha registrato un aumento del 12%; Il 2018 è iniziato in modo positivo anche sul fronte interno; c’è qualche perplessità a livello internazionale per il secondo semestre, per alcune tensioni geopolitiche e per le sanzioni daziali in alcuni Paesi”.L’effetto combinato dei flussi commerciali in uscita e in  ingresso dal nostro Paese ha determinato nel 2017 un miglioramento del surplus con l’estero; il saldo commerciale si porta, infatti, a 9,6 miliardi di euro circa, sperimentando nei dodici mesi un aumento di quasi 650 milioni.L’export verso la UE è cresciuto del +4%, mentre quello destinato alle aree extra-UE del +2,9%. Anche nel 2017 Germania e Francia si confermano i primi due mercati di sbocco del Tessile-Moda italiano, segnando rispettivamente una crescita del +4% e del +2%. Prosegue il trend favorevole del Regno Unito, in aumento del +4,9%, e della Spagna, che archivia un incremento del +5,6%. Sul fronte asiatico Hong Kong ha registrato un calo del -1% e il Giappone del -2,9%; la Corea del Sud sperimenta, invece, un aumento del +6,2%. Per quanto riguarda il primo trimestre del 2018, le aziende del Tessile-Moda analizzate nel campione presentano un fatturato in moderato aumento rispetto al medesimo periodo del 2017 (+1,5%), grazie soprattutto alla crescita delle esportazioni. (cit. Fashion Network maggio 2018 ; E.Passeri e L.Galbiati)

A questo punto sorge spontanea la domanda: “quanta libertà lasciano alla creatività degli stilisti, questi numeri così importanti?” Non ci resta che cercare, prossimamente, un degno interlocutore per la miglior risposta!

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