Payback sui dispositivi medici: lo scontro tra imprese e Regione Emilia-Romagna

- di: Jole Rosati
 
La decisione della Regione Emilia-Romagna di richiedere alle aziende fornitrici di dispositivi medici il pagamento del cosiddetto “payback” entro 30 giorni ha riacceso il dibattito su una misura che divide politica e industria. Mentre le associazioni di categoria denunciano le gravi ripercussioni economiche che ne deriverebbero, la Regione difende il provvedimento come un atto obbligato per evitare danni erariali.

Cos’è il payback e come si è arrivati qui
Il payback sui dispositivi medici è una misura introdotta nel 2015 dal governo Renzi per contenere la spesa sanitaria pubblica. In base alla normativa, se la spesa sanitaria complessiva supera i tetti stabiliti, le aziende fornitrici del Servizio sanitario nazionale (SSN) devono rimborsare una quota dell’eccedenza. Dopo anni di inattività, il governo Draghi ha emanato i decreti attuativi nel 2022, fissando al 48% la quota di ripiano a carico delle imprese, come confermato dalla Corte Costituzionale lo scorso anno.
In Emilia-Romagna, la richiesta di pagamento riguarda il periodo 2015-2018, per un totale di circa 73 milioni di euro. Tuttavia, se altre Regioni seguissero lo stesso percorso, il totale nazionale potrebbe superare il miliardo di euro.
Il vicepresidente regionale Vincenzo Colla e l’assessore alla salute Massimo Fabi hanno spiegato in una nota che la Regione non aveva scelta: “Se non venisse fatto, sarebbe inevitabile la contestazione di danno erariale a nostro carico”. Allo stesso tempo, hanno ribadito di aver chiesto più volte l’abrogazione del meccanismo.

La protesta delle imprese: “Rischio chiusura per molte aziende”
La reazione delle associazioni di categoria è stata immediata. Confindustria Dispositivi Medici, che rappresenta oltre 4.600 aziende del settore, ha definito la decisione della Regione un “atto grave”. Il presidente Nicola Barni (nella foto) ha dichiarato: “Pagare il payback per molte imprese significherebbe la chiusura immediata, e ci chiediamo come sia possibile che la Regione non comprenda le gravi difficoltà che le nostre imprese si trovano ad affrontare”.
Le preoccupazioni sono particolarmente acute in Emilia-Romagna, un territorio che ospita 507 aziende del comparto biomedicale, concentrate soprattutto nel Modenese. Si tratta di un settore strategico sia per l’economia regionale che per il sistema sanitario nazionale.
Confindustria ha annunciato di aver già avviato nuovi ricorsi legali contro il provvedimento e di aver scritto alle istituzioni nazionali, tra cui la Conferenza delle Regioni e la Presidenza del Consiglio. La prima udienza di merito presso il Tar del Lazio è fissata per il 25 febbraio.
Anche Conflavoro PMI Sanità, che rappresenta aziende di dimensioni più piccole, ha espresso una posizione dura. Il presidente Gennaro Broya de Lucia ha definito la richiesta della Regione “una decisione autolesionistica, giustificata attraverso motivazioni pretestuose”.

Un tavolo di confronto per evitare la crisi
In risposta alle critiche, la Regione ha annunciato la convocazione di un tavolo di confronto con le associazioni rappresentative del settore. L’obiettivo è quello di individuare una soluzione che possa mitigare l’impatto economico sulle imprese senza compromettere la sostenibilità della spesa sanitaria.
Tuttavia, questa mossa potrebbe non essere sufficiente a placare le tensioni. Per molte aziende, il pagamento del payback rappresenta una sfida insostenibile. La questione si intreccia con più ampi temi di politica sanitaria e industriale, mettendo in discussione l’equilibrio tra il contenimento della spesa pubblica e il sostegno a un settore cruciale per l’innovazione e la salute.
Le possibili implicazioni nazionali 
L’Emilia-Romagna è tra le prime Regioni ad aver richiesto ufficialmente il pagamento, ma altre potrebbero seguirne l’esempio, innescando una reazione a catena. Secondo Confindustria, un’applicazione diffusa del payback potrebbe compromettere la competitività dell’intero comparto biomedicale italiano, favorendo invece la delocalizzazione delle produzioni.
Il governo centrale, pur consapevole della portata del problema, finora non ha preso provvedimenti concreti.

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