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Venezuela, Osa vs Maduro: “Voti nascosti e repressione sistematica”

- di: Jole Rosati
 
Venezuela, Osa vs Maduro: “Voti nascosti e repressione sistematica”

La denuncia alla riunione del consiglio permanente degli Stati americani: oltre 2.000 arresti dopo le presidenziali 2024, 25 morti e verbali mai pubblicati. Washington chiama, Brasilia tace.

(Foto: il contestatissimo presidente del Venezuela. Nicolas Maduro).

L’Organizzazione degli Stati americani punta il dito su Caracas

«Una grave violazione della democrazia e dei diritti umani». Così l’Organizzazione degli Stati americani (Osa) ha descritto, il 6 agosto 2025, la situazione in Venezuela a un anno dalle elezioni presidenziali del 28 luglio 2024. Secondo Gloria Monique de Mees, relatrice della Commissione interamericana per i diritti umani, il governo di Nicolás Maduro non ha mai pubblicato i verbali ufficiali del voto e ha messo in atto una repressione sistematica contro l’opposizione.

La denuncia è stata formalizzata a Washington, durante la riunione del Consiglio permanente dell’Osa. L’intervento si basa su un rapporto dettagliato che documenta oltre duemila arresti legati alle proteste post-elettorali, venticinque morti — ventiquattro dei quali per colpi d’arma da fuoco — e centinaia di detenzioni arbitrarie, molte delle quali in condizioni definite “assimilabili alla tortura”.

Voto 2024: silenzio istituzionale e opacità

Le elezioni del 2024 avevano già suscitato pesanti critiche internazionali. Il Consiglio nazionale elettorale venezuelano (CNE) ha proclamato la vittoria di Maduro, ma non ha mai reso pubblici i verbali dei singoli seggi, violando sia le norme nazionali che gli standard minimi di trasparenza elettorale.

La relatrice dell’Osa ha ricordato come, a più di un anno di distanza, non sia stato possibile effettuare alcuna verifica indipendente del risultato. Si tratta, ha sottolineato de Mees, di un comportamento che compromette la legittimità democratica del processo elettorale e la fiducia dei cittadini.

Una posizione condivisa anche da altri osservatori internazionali, che avevano già denunciato la mancanza di trasparenza nello scrutinio e l’impossibilità di accedere ai dati essenziali.

L’apparato repressivo e le “testimonianze dirette”

Secondo il rapporto presentato all’Osa, la repressione post-elettorale ha colpito non solo attivisti e oppositori politici, ma anche adolescenti, giornalisti e operatori dell’informazione.

«Abbiamo ricevuto testimonianze dirette da reporter e tecnici dei media arrestati arbitrariamente» — ha dichiarato de Mees —. «In molti casi sono stati detenuti in condizioni inumane, senza accesso a legali o cure mediche, in strutture non ufficiali».

Organizzazioni internazionali per i diritti umani hanno confermato queste dinamiche, documentando esecuzioni extragiudiziali, sparizioni forzate e uso eccessivo della forza. Le modalità ricordano quelle già viste nelle proteste del 2017 e del 2019.

Chi sostiene la denuncia e chi si defila

Alla riunione del 6 agosto, la relazione ha ricevuto l’appoggio di Stati Uniti, Canada, Argentina, Paraguay, Costa Rica, Perù, Guatemala ed Ecuador. Ma il fronte continentale non è compatto.

Il Brasile ha invocato il principio della non ingerenza negli affari interni, una linea prudente che riflette anche le ambiguità del governo Lula nei confronti del regime chavista.

Messico, Colombia e Bolivia hanno scelto il cosiddetto “silenzio diplomatico”, evitando di prendere posizione ufficiale, ma senza smentire le accuse.

Il Dipartimento di Stato USA, con una nota diffusa il 6 agosto, ha definito «inaccettabile» la mancata pubblicazione dei verbali elettorali e ha chiesto «il rilascio immediato di tutti i prigionieri politici e l’apertura di un’inchiesta indipendente sulla violenza post-elettorale».

Maduro nega e rilancia: «Interferenze straniere»

Il governo venezuelano ha bollato la relazione dell’Osa come un atto di “guerra diplomatica contro la sovranità venezuelana”. Il ministro degli Esteri Yván Gil ha parlato di “interferenze pilotate da Washington e da élite neoliberiste”, ribadendo che “le elezioni del 2024 sono state legittime e partecipate”.

Ma al di là delle dichiarazioni, resta il fatto che nessun organismo indipendente ha avuto accesso completo ai dati elettorali. Un fatto che mina la credibilità stessa del risultato e conferma i timori espressi da numerose Ong e osservatori internazionali.

Il nodo latinoamericano e il vuoto diplomatico

Il caso venezuelano sta riaccendendo un dibattito più ampio sul futuro democratico del continente. L’Osa, pur divisa al suo interno, torna a giocare un ruolo centrale nel tentativo di difendere le regole fondamentali della convivenza democratica: elezioni libere, trasparenti, verificabili.

Il rischio, però, è quello di uno scollamento crescente tra Nord e Sud America, con le grandi democrazie che spingono per sanzioni e pressioni multilaterali, e un blocco di Paesi che preferisce voltarsi dall’altra parte, temendo ripercussioni politiche interne o conflitti diplomatici.

Senza verità elettorale nessuna pace civile

La denuncia dell’Osa riporta al centro dell’agenda latinoamericana la questione democratica in Venezuela. Non è solo una disputa giuridica o diplomatica: è una questione di legittimità, di diritto alla partecipazione e di rispetto delle libertà fondamentali.

Senza verità sulle urne del 2024, ogni dialogo risulterà viziato, ogni apertura percepita come falsa. Per questo il pressing internazionale — seppur disomogeneo — è destinato a continuare. Fino a quando Caracas non romperà il silenzio sui suoi verbali elettorali e sulle sue prigioni.

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