Operaio indiano morto a Latina: la fine di Satnam un'offesa per la civiltà del Paese

- di: Redazione
 
Quando lo sbigottimento per essere stati testimoni indiretti dell'ennesimo schiaffo alla dignità dell'Uomo sarà passato, di Satnam - l'operaio indiano dilaniato da una macchina agricola a Latina - ci si ricorderà magari solo tra qualche mese, quando le cronache racconteranno l'andamento dell'inchiesta giudiziaria, sempre se non si siano altre notizie più fresche da offrire al tritacarne mediatico dell'opinione pubblica. Forse a Satnam qualcuno penserà quando la salma tornerà in India, poi più nulla.
Non è cinismo di bassa lega, ma la consapevolezza che finirà così in un Paese che sembra avere smarrito la capacità di inorridire, ma anche di vergognarsi e compiere atti per evitare che ci si abitui alla mattanza delle morti sul lavoro.

Operaio indiano morto a Latina: la fine di Satnam un'offesa per la civiltà del Paese

Ma questa volta la Morte ha un profilo diverso perché la responsabilità non si limita solo a chi ha creato le condizioni per le quali non si è concretizzata la scontata equazione che il lavoro e la sicurezza devono andare avanti di pari passo. La colpa o il dolo - spetterà alla magistratura inquirente, quella della Procura di Latina - dovranno fare un passo indietro davanti alla mancanza di pietà, nell'accezione che alla parola davano i latini, identificandola con amore e compassione, con il rispetto per gli altri, quale sia la loro origine, la loro occupazione, la loro estrazione razziale.

L'uomo che dava il lavoro a Satnam è lo stesso che, quando la macchina ha strappato un braccio all'operaio indiano e gli ha schiacciati le gambe, ha pensato che l'unica cosa da fare non era soccorrerlo e portarlo in ospedale, ma quella di abbandonare l'uomo, quel che restava di lui, ridotto ormai a una massa di muscoli e ossa fatti a pezzi dal mostro d'acciaio.
Abbandonare nel senso più stretto del termine. Non portandolo in un ospedale, non cercando - magari con strumenti empirici di fermare il sangue -, ma gettandolo davanti alla casa che Satnam divideva con la moglie, che è stata la prima e forse la sola a cercare di aiutare il marito.
Ora qualcuno dice che l'imprenditore agricolo per il quale Satnam lavorava ha anche chiamato i soccorsi e solo dopo si è allontanato dalle serre dove la vittima, insieme ad altri connazionali, dalla mattina era impegnato a preparare il terreno per la coltivazione di angurie. Lo avrebbe fatto prima di fuggire, travolto dall'orrore per l'accaduto. Sarà anche andata così, ma non è che quella telefonata per chiedere aiuto ha risolto nulla, di certo non ha allungato la vita dell'operaio indiano.

Ora tutti gridano all'orrore, chiedono interventi, dicono di essere stati facili profeti di sventura. Fatto sta che Satnam è morto e nessuno lo ha impedito, sapendo che l'agro pontino (terra grassa, dove attecchiscono tutte le coltivazioni e le serre sono ormai parte del panorama, occupandone porzioni lunghe chilometri e chilometri) è diventata una terra senza regole, almeno sul lavoro. Nella zona tutti sapevano e sanno che l'agricoltura non andrebbe avanti senza i manovali arruolati nelle file degli immigrati, con quelli della comunità indiana (soprattutto i bengalesi) a garanzia di lavoro duro, incessante, senza alzare la voce. E negli ultimi anni anche molti ragazzi arrivati in Italia sui barconi, dall'Africa sub-sahariano, lavorano nei campi e nelle serre, pagati per pochi euro all'ora, ma che consentono loro di vivere e anche di mantenere le famiglie a casa.

Ma non è lo stipendio che deve spingere a considerare cosa fanno e per quanto lo fanno, sono le condizioni di lavoro che sono disumane soprattutto se, in piena bolla di calore, devi stare nelle serre, per otto-dieci ore, piegato e grondante di sudore. Sono, si dice, i lavori che gli italiani non vogliono più fare. Eppure i giovani neri li fanno, anche quando, se musulmani, affrontano la prova durissima del digiuno del Ramadan. Satnam non è stata la prima vittima del lavoro nell'agro pontino (e degli altri luoghi dove lavorano immigrati, spesso con tutele sotto lo zero, ostaggi dei ''caporali'' che fanno e disfano le loro vite a piacimento) e la speranza è che si sia chiuso un capitolo doloroso e offensivo di un Paese che dice di sentirsi civile.

Le morti sui posti di lavoro sono una piaga, ma questa volta si è superato ogni limite, perché non c'è stata alcuna considerazione per la tragedia che si era abbattuta su un uomo che forse - ci sarà mai controprova - se soccorso per tempo poteva forse essere salvato.
Il dramma di fatti come quelli di Latina è che cadono in una assuefazione criminale, solo una pagina di un libro che sembra non avere fine.
La tragica fine di Satnam ha avuto eco, giustissima, sui media italiani, ma non è stata la principale notizia di tg o sui giornali. Ieri, a Montreal, un operaio è morto, per un incidente, sul posto di lavoro e con questa notizia hanno aperto i telegiornali nazionali.
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