Sabato, negli spazi diplomatici dell’Oman, Stati Uniti e Iran si ritroveranno per una nuova tornata di colloqui sul programma nucleare di Teheran. L’annuncio è arrivato dalla Casa Bianca, con Donald Trump che ha parlato di un confronto “diretto”, mentre il ministero degli Esteri iraniano ha corretto il tiro definendolo “indiretto”. La discrepanza lessicale riflette il grado di tensione che ancora attraversa le due capitali, ma al tempo stesso apre una finestra negoziale. La scelta dell’Oman, attore neutrale e già mediatore in passato, rivela quanto il dossier sia strategico e fragile allo stesso tempo.
Nucleare, colloqui tra Usa e Iran in Oman: si riapre il dossier, ma le incognite restano
Il presidente Trump ha scelto la via dell’assertività alla vigilia dell’incontro, affermando che “se i colloqui non avranno successo, credo che saranno nei guai”, con un chiaro riferimento alla leadership iraniana. Una posizione coerente con la sua dottrina di pressione massima, che negli anni precedenti aveva portato al ritiro unilaterale dagli accordi del 2015. La nuova fase dei colloqui, dunque, si svolge in un clima tutt’altro che conciliante, in cui ogni parola pubblica viene calibrata anche per inviare messaggi all’opinione pubblica interna e ai partner regionali.
L’Iran avverte: “la palla è nel campo dell’America”
Teheran, da parte sua, cerca di ribaltare l’onere della prova su Washington. Il ministro degli Esteri ha dichiarato che “questa è tanto un’opportunità quanto un test. La palla è nel campo dell’America”. Il regime iraniano punta a una rimozione almeno parziale delle sanzioni, considerate soffocanti per l’economia nazionale, in cambio di una maggiore trasparenza sulle attività nucleari. Ma il clima politico interno all’Iran è a sua volta teso, e la leadership religiosa non intende fare concessioni che possano essere lette come segni di cedimento.
Israele e la variabile della sicurezza regionale
Il peso del dossier nucleare non è solo bilaterale. Israele segue da vicino ogni mossa, con il premier Netanyahu che ha incontrato nei giorni scorsi rappresentanti della Casa Bianca per ribadire la linea rossa: l’Iran non deve mai diventare una potenza atomica. Contestualmente, Netanyahu ha rilanciato anche la questione degli ostaggi nelle mani di Hamas, collegando la sicurezza del fronte sud alle dinamiche più ampie del Golfo. La posizione israeliana complica ulteriormente la posizione americana, che deve conciliare l’apertura diplomatica con la difesa dei propri alleati storici.
Equilibri globali e giochi di influenza
Il ritorno dei colloqui avviene in una fase storica segnata da una ridefinizione degli equilibri globali. Russia e Cina hanno rafforzato i propri rapporti con Teheran, sfruttando il vuoto lasciato dall’Occidente dopo le sanzioni. L’Iran, isolato a lungo, sta tentando di riconfigurarsi come attore centrale nel Medio Oriente multilaterale, anche grazie a nuove alleanze energetiche e commerciali. Gli Stati Uniti, dal canto loro, vogliono evitare che la regione finisca completamente fuori dalla loro sfera d’influenza, ma devono farlo senza cedere troppo terreno sul piano politico.
Un banco di prova per il secondo mandato di Trump
Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca ha rimesso in discussione molte delle direttrici di politica estera degli anni precedenti. L’Iran torna così al centro della scena come uno dei nodi irrisolti dell’amministrazione passata e presente. Il presidente ha bisogno di mostrare alla propria base elettorale che l’America può negoziare da una posizione di forza, senza tornare agli accordi di Obama e Biden. Al tempo stesso, deve evitare un nuovo conflitto regionale che potrebbe destabilizzare il Medio Oriente e avere ricadute dirette sul prezzo del petrolio e sull’economia globale.