La nostra biblioteca - Alla fine James Ellroy affronta il mistero della morte di Marilyn

- di: Diego Minuti
 
Se c'è un romanziere - americano, la precisazione è d'obbligo - che non ha mai evitato di confrontarsi con la storia recente del suo Paese, a costo di passare per un cinico raccontatore di atmosfere, sogni e discese negli inferi della mente umana, questo è certamente James Ellroy, questa volta, con ''Gli incantatori'' (Einaudi - pag.624 - 22 euro), si pone un obiettivo esaltante, ma anche difficile: affronta finalmente un mito, quello di Marilyn Monroe, da cui aveva voluto sempre restare lontano, guardando all'attrice, alla sua vita, alla sua tragica e misteriosa morte come a metafore della società americana.
Quella che può lanciarti tra le stelle dei firmamento (dell'arte, della finanza, dello sport, solo per citare i settori più remunerativi), ma anche farti precipitare se solo trasgredisci alcune regole, che non sono necessariamente quelle dettate dalla legge.

La nostra biblioteca - Alla fine James Ellroy affronta il mistero della morte di Marilyn

James Ellroy, che del noir ambientato nella megalopoli losangelina è l'indiscusso maestro, per il suo ultimo romanzo ha fatto ricorso ad un personaggio, vero, falso, esageratamente vituperato o celebrato: Fred Otash, un detective privato, con un passato da poliziotto, specializzato nel mettere le mani e la faccia nella spazzatura di quel coacervo di contraddizioni che è Hollywood. Un luogo fisico, ma anche, come si usa dire, dello spirito, dove negli anni '60, tutto era permesso, almeno sino a quando non veniva scoperto.

Chi conosce James Ellroy sa benissimo a cosa va incontro quando comincia a sfogliare un suo romanzo, sapendo di dovervisi calare completamente, ma, allo stesso tempo, di tenere ben stretta la cintura di sicurezza, per evitare d'essere sbalzato dalla lettura di pagine in cui tutto è velocità, ritmo, paradossi, provocazioni.
L'ambientazione, estate del 1962, è una miniera di ispirazione per Ellroy, che infila nel romanzo, un caleidoscopio di personaggi, mischiando fantasia e realtà: Jimmy Hoffa, i Kennedy (con la sarabanda di donne e occasioni), la polizia di Los Angeles. Ma anche Fidel Castro, sebbene la sua ''presenza'' di riduca a un cameo virtuale.
Si fa presto, anche cercando di fare capire cosa ci sia dentro a questo toboga della mente, a ridurre tutto a quel che, di personale, Ellroy si porta ancora dietro, a distanza degli anni trascorsi da quando la madre fu uccisa in un delitto mai risolto, quello della ''Black Dahlia'', da cui il romanziere ha tratto un libro e Brian De Palma un film.
Ma del suo Paese, Ellroy ha un giudizio che si porta dietro da sempre, come quando, in ''America Tabloid'', disse che ''l'America non è mai stata innocente''. Ellroy, nel suo modo di scrivere, vedere il mondo per quello che è, amandolo per quello che è e quindi guardare a sé stesso allo stesso modo.

Ma perché Marilyn? E perché mai no?
Una donna che era in cima ai sogni e ai desideri di milioni di uomini (e anche donne), che è stata al centro di una sterminata letteratura, 700 libri sono in inglese, in cui tutti si sono spesi per spiegare, ipotizzare o anche solo sperare. La donna perfetta - la bellezza mostrata nel 1953 in ''Gli uomini preferiscono le bionde'' dovrebbe essere scolpita sul monte Rushmore, insieme ai Presidenti - sulla quale James Ellroy ha deciso di scrivere a distanza di molto tempo rispetto a quello che, forse, ci si aspettava da lui. Anche perché avevano/hanno molto in comune: l'origine non certo agiata, l'avere scelto Los Angeles (lei poteva andare facilmente sulla costa Est a cerca fortuna), entrambi hanno cambiato il loro nome, hanno avuto madri assenti (o troppo impegnate a fare altro, come farsi uccidere, come La Dalia Nera).

Il Freddy Otash - già presente in ''Widespread Panic'', del 2021 (''Panico'', nella versione italiana) - ne ''Gli incantatori'' è tragico, intimidito e inspiegabilmente più taciturno, anche quando va a lavorare con brutale efficienza su qualche preda del momento. Il libro, ambientato durante il caldo agosto di Los Angeles, è allo stesso tempo ansimante e lento. Ed è una critica che è stata mossa ad Ellroy in America, accusandolo di avere dato vita ad una storia fiacca, dalla tensione quasi inesistente. Ma il talento dell'autore resta.
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