Annie Ernaux, il Nobel per la letteratura è donna

- di: Barbara Leone
 
Oggi, il Nobel è donna. Ma è soprattutto di una donna che nei suoi romanzi parlando di sé ha dato voce a mille altre donne. Quelle di Annie Ernaux, però, non sono autobiografie. Non nel senso classico del termine. Autofiction: così viene definito dagli studiosi il suo genere letterario. Mera illusione, una ragnatela di realtà e menzogna così intricata da non riuscire a rintracciarne i confini. Nulla di nuovo, sia chiaro: lo fece Rosseau, Stendhal e sorninionamente il nostro Cesare Zavattini in “Parliamo tanto di me”.

Annie Ernaux, il Nobel per la letteratura è donna

E però quando c’è da raccontarsi, seppur per interposta persona, le donne lo sanno fare meglio degli uomini, perché appartiene proprio al loro dna. E nei suoi libri questo Annie Ernaux fa: parla di sé, rende oggetto di narrazione la propria vita. Ma lo fa in punta di penna, e con uno stile che è molto più vicino al saggio che non al racconto. Scarno com’è di barocchismi e fronzoli, e caratterizzato da una scrittura scarna, asciutta. A tratti spietata. Di sicuro sempre acuta, come sottolineato proprio dall’Accademia svedese che le ha conferito il Nobel per la letteratura 2022 per “il coraggio e l'acume clinico con cui scopre le radici, gli allontanamenti e le costrizioni collettive” della memoria personale, così si legge nelle motivazioni.

Tanti e tutti complessi, anche spinosi, i temi affrontati dall’ottantaduenne scrittrice francese: dalla scoperta del sesso alle disuguaglianze tra uomini e donne, dai disturbi alimentari all’aborto clandestino. Un argomento, quest’ultimo, che dalle pagine de “L’evento” s’è trasferito in un film di Audrey Diwan che ha vinto il Leone d'Oro alla Mostra del Cinema di Venezia 2021. Nata il primo settembre del 1940 a Lillebonne, in Normandia, Annie Ernaux dopo la laurea si mette ad insegnare lettere moderne nei licei. Negli anni Settanta, fresca di militanza nel movimento femminista, esordisce con il romanzo “Gli armadi vuoti”. Ma è il suo quarto libro del 1983 intitolato “Il posto” e vincitore del Premio Redaudot a segnare la sua svolta letteraria. Qui, in poche centinaia di pagine, la scrittrice riesce a delineare un ritratto spassionato di suo padre e dell'intero ambiente sociale che lo aveva fondamentalmente formato. Delicata, con una classe innata, la Ernaux usa il linguaggio come “un coltello”, come lo chiama lei, per squarciare i veli dell'immaginazione e dell’ipocrisia. Nei suoi libri la troviamo tornare indietro nel tempo e nella memoria ai 18 anni, poi a 25 anni, al suo essere moglie, madre, donna, alla maturità in un riavvolgersi e srotolarsi degli avvenimenti in cui racconta anche la Liberazione, l’Algeria, De Gaulle, il ‘68, l’emancipazione femminile, la maternità, Mitterrand.

Sono “Gli anni”, suo più alto capolavoro in termini di narrazione e di stile, ma sono anche i semplici, apparentemente banali, gesti quotidiani di “Guarda le luci amore mio”, il suo ultimo romanzo uscito in Italia in cui per un anno intero annota a mo’ di diario le sue escursioni al supermercato tra “impotenza e ingiustizia”. Racconti autentici, capaci di fendere l’anima e di restituirci brandelli di sogni e ideali fatti a pezzi dalla Storia e dalla personalissima storia di tutti noi. E che puntuali ci ricordano che nulla, ma proprio nulla, è mai conquistato per sempre. Una verità tristemente vera e attuale più che mai.
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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