La guerriglia di Napoli: più gli interrogativi che le evidenze

- di: Redazione
 
La giornata di ieri, vissuta per i vicoli di Napoli, è stata la cronaca di una guerriglia annunciata perché, come si usa dire, le due tifoserie non se l'erano certo mandato a dire, promettendosele.
Uno spettacolo indegno di una città che, pure se davanti a difficoltà vecchie di secoli, cerca da tempo di mostrare il meglio di sé (la bellezza, la cultura, l'arte e la storia sono un dato di fatto...) e spesso ci riesce. Come dimostra il numero sempre crescente delle persone che, ogni anno, la visitano, spesso anche dall'estero. Poi, però, basta una giornata di follia per cancellare tutto.

La guerriglia di Napoli: più gli interrogativi che le evidenze

Cercando di riassumere lo sdegno in poche righe, ieri centinaia di tifosi della squadra tedesca dell'Eintracht di Francoforte si sono scontrati con i sostenitori del Napoli, mettendo in mezzo le forze dell'ordine che cercavano di impedire i contatti. Forse oggi è ancora presto per tirare un bilancio dei danni materiali dell'accaduto (i tifosi tedeschi hanno usato sedie e tavolini di bar e ristoranti, lasciando distruzione al loro passaggio), che sarebbero ingenti.
Ma i danni all'immagine di Napoli sono incalcolabili perché le immagini di quanto è successo, andate sulle tv di mezzo mondo, non distinguono gli attaccanti da chi si è difeso, con ruoli intercambiabili, perché anche i tifosi del Napoli non è che siano immuni da colpe. Tant'è che oggi il numero degli arresti vede cinque tedeschi e tre napoletani chiamati a rispondere delle loro azioni. Ma questo numero, a scorrere nuovamente le immagini di ieri, è sorprendente perché negli scontri sono rimasti coinvolti sicuramente decine, se non centinaia di soggetti che non hanno avuto remore a mettere a rischio la vita degli altri, perché se tiri addosso a qualcuno una sedia o un tavolino di metallo lo fai mettendo in conto di potere persino uccidere.

Eppure è accaduto quel che accaduto, e davanti a ciò è lecito, anzi necessario porsi delle domande. La prima, la più scontata e forse anche banale, è se tutto questo poteva essere evitato.
Soprattutto pensando che la tifoseria dell'Eintracht viene considerata, se non la più violenta, almeno tra le più pericolose di Germania. Ma quello del tifo è un fenomeno che ormai ha travalicato la passione per il calcio (ma anche di altri sport, non in Italia, comunque) . Tanto che tra le tifoserie di Paesi diversi si intrecciano legami - e sin qui ci può stare -, ma anche alleanze in funzione ''anti''.
Prova ne è che ieri, secondo qualcuno, a dare manforte agli esagitati tedeschi sono arrivati piccoli gruppi di tifosi di altre squadre italiane, tradizionalmente avversi al Napoli (il sospetto si è appuntato soprattutto sui tifosi dell'Atalanta, gemellati con quelli di Francoforte e da sempre divisi da quelli partenopei). Eppure, ben sapendo questo ed essendosi preparate, le forze di polizia hanno potuto fare poco o nulla, sia per la difficoltà dei luoghi (strade e piazzette difficilmente controllabili se possono essere raggiunte con facilità), sia per l'ampiezza dei numeri (centinaia le persone coinvolte), sia per tutelare l'incolumità di chi era estraneo agli scontri.
Ma resta la domanda se si poteva, prevedendo, prevenire.
Non è così semplice come pare perché, nell'Europa priva di confini nazionali presidiati, anche il mostro di Dusseldorf (chiediamo scusa a Fritz Lang) potrebbe arrivare indisturbato. E siccome le nostre forze dell'ordine possono intervenire quando è in pericolo l'ordine pubblico, se anche la peggiore masnada di mazzieri si comporta bene, non si può agire se non con una azione deterrente, vietando di passare da qui o da lì.
Questo è successo ieri, sino a quando è stato possibile fare da argine, poi è stato solo delirio e violenza.

Gli scontri di Napoli ripropongono seri interrogativi su quali siano gli strumenti migliore per reprimere questa follia, nella consapevolezza che quelli attuali sono poca cosa. Perché, come accaduto quando nel 2015 tifosi della squadra olandese del Feyenoord, nella capitale per una partita con la Roma, oltre a causare disordini danneggiarono la Barcaccia, la fontana del Bernini a piazza di Spagna. Il relativo processo, celebratosi a distanza di sei anni (dicasi sei!!!) si è concluso con condanne a quattro anni di reclusione. Tanto, per i parametri della nostra giustizia; ben poca cosa se si pensa allo sfregio a Roma, alla nostra arte, al nostro Paese.
Se ieri non ci sono state conseguenze più gravi per qualcuno (tifoso o semplice passante o barista) è stato forse un caso, ma ciò non toglie che il limite è stato superato e che, quindi, occorre reagire. Un Paese civile lo fa ricorrendo alla legge. Per questo diventa urgente mutare l'attuale quadro legislativo non solo inasprendo le pene (e applicandole per intero, visto il profilo delinquenziale di queste esplosioni di violenza), ma anche interagendo con le magistrature di altri Paesi per trovare un terreno comune di azioni per evitare che chi, persona normale nella vita di tutti i giorni, si trasforma in un picchiatore in occasione di partite di calcio non abbia ripercussioni serie, anche dal punto di vista economico.

Valgano, per tutte, la parole del procuratore aggiunto di Napol, Sergio Amato: ''Ritengo che le forze dell’ordine abbiano fatto un lavoro eccezionale, paradossalmente hanno saputo limitare i danni al massimo, ma per fronteggiare questi eventi serve intervenire sul piano normativo sotto il profilo dell’effettività delle sanzioni e di una fase cautelare più rigida. Dal punto di vista giudiziario, insomma, sarebbero necessarie norme più incisive. I club in questi ultimi anni hanno fatto tantissimo ma a volte questi fenomeni di violenza urbana avvengono anche a chilometri di distanza dagli stadi. Quello che i club possono fare ulteriormente è isolare del tutto questi gruppi violenti e delegittimarli agli occhi della popolazione''.
Più chiaro di così. Soprattutto nel riferimento alle commistioni che, ancora oggi, purtroppo, condizionano i club, perennemente sotto ricatto da parte di questi signori.
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