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L’occhio nero della democrazia. Chi ha colpito davvero Musk

- di: Marta Giannoni
 
L’occhio nero della democrazia. Chi ha colpito davvero Musk

Il livido di Musk diventa simbolo di un potere allo sbando. E mentre Trump prepara la vendetta, la Silicon Valley si interroga sul futuro del suo ex profeta.

(Foto: un fotomontaggio sullo scontro senza esclusione di colpi tra Trump e Musk)
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Un livido come segno dei tempi
Washington, primavera 2025. Elon Musk si presenta nello Studio Ovale con un occhio tumefatto. Le telecamere lo inquadrano mentre saluta Donald Trump con una smorfia poco convinta. Quando una giornalista chiede conto del livido, Musk risponde: “È stato mio figlio, stavamo giocando. Gli ho detto di darmi un pugno, e lui lo ha fatto”. Trump sorride: “Se conosceste X, capireste”. Una scenetta bizzarra, certo. Ma anche una copertura. Perché quel livido, oggi lo sappiamo, è stato l’epilogo di una rissa — vera — dentro le mura della Casa Bianca.
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La rissa nascosta nei corridoi del potere
Lo ha rivelato il Washington Post citando Steve Bannon, ex stratega della campagna trumpiana e oggi tra i più accaniti detrattori di Musk. I fatti risalirebbero a metà aprile, durante un incontro allo Studio Ovale in cui si discuteva la nomina del commissario ad interim dell’Irs. Musk e il segretario al Tesoro Scott Bessent sostenevano candidati diversi. Trump, prevedibilmente, appoggiava l’uomo del suo ministro.
La tensione è esplosa poco dopo, lungo i corridoi che portano alla West Wing. Bessent avrebbe attaccato Musk: “Sei un impostore. Dove sono i mille miliardi di tagli promessi?”. Musk avrebbe reagito con una spallata “da rugbista”, secondo Bannon. Bessent ha risposto colpendolo. I due si sono affrontati fisicamente, finché alcuni funzionari non li hanno separati.
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La reazione: “È troppo anche per lui”
Trump, appena informato, avrebbe tagliato corto: “This is too much”. Un segnale di insofferenza definitivo. Da lì è partita una rappresaglia politica silenziosa ma micidiale. Il 27 aprile Musk ha annunciato il suo parziale ritiro da Washington per “tornare a occuparsi delle sue aziende”. Tre giorni dopo, il capo della Nasa — Jared Isaacman, vicino a Musk — è stato destituito. L’asse si era spezzato.
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Il livido diventa simbolo
Ma è proprio quell’occhio nero a diventare, retrospettivamente, il simbolo di un’epoca che si sta disgregando. In un Paese in cui le istituzioni si sfaldano sotto colpi di ego, vendette e tweet, il livido di Musk racconta la metamorfosi da consigliere influente a bersaglio politico. La spiegazione infantile — “mio figlio mi ha colpito” — suona oggi come la foglia di fico di un sistema al collasso.
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Il dossier Epstein e la rottura definitiva
La tensione si è trasformata in frattura quando Musk, in un post poi cancellato su X, ha insinuato che il nome di Trump compare nei file di Jeffrey Epstein. Non serviva altro. Trump ha mobilitato i suoi media. Secondo Alter.net ha telefonato personalmente a giornalisti influenti come Bret Baier (Fox), Dana Bash (CNN) e Jonathan Karl (ABC), per istruire informalmente una campagna di isolamento contro Musk. Lo avrebbe definito “un tossico squilibrato”.
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Musk lancia l’America Party
Il 5 giugno, in risposta a un sondaggio su X, Musk ha dichiarato la nascita dell’“America Party”, un terzo polo fuori dagli schemi bipartisan. Il popolo ha parlato”, ha scritto. Ma l’annuncio ha suscitato più ironie che entusiasmo. Secondo Yascha Mounk, politologo della Johns Hopkins University, “Musk è troppo divisivo, troppo instabile. Il suo progetto è destinato a implodere”.
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Wall Street si agita, la Casa Bianca affila i coltelli
Nel frattempo, la Casa Bianca sta esplorando modi per tagliare i fondi federali alle aziende di Musk. SpaceX, Neuralink, Starlink: tutto è sul tavolo. Secondo Politico, i legali stanno cercando appigli formali per bloccare contratti e sovvenzioni. L’obiettivo? Lasciare Musk senza ossigeno.
Nel frattempo, le azioni Tesla hanno perso oltre il 6% in dieci giorni. Gli investitori temono ritorsioni e incertezza normativa. “Musk è vulnerabile. Ora è un bersaglio politico”, ha detto un analista di Axios.
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Steve Bannon: “Andrebbe espulso”
Il colpo più duro arriva però da Bannon. In un’intervista a Real America’s Voice ha dichiarato: “Elon Musk è una minaccia per la sicurezza nazionale. Non è nato americano. Forse è il momento di rimandarlo in Sudafrica”. Il messaggio è chiaro: fuori dal cerchio magico, Musk non troverà pietà.
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Un potere in frantumi
La storia del livido di Elon Musk, oggi, appare come una parabola perfetta: l’uomo che voleva rifare il mondo a sua immagine e somiglianza, colpito — nel corpo e nel ruolo — da una macchina del potere che non perdona le crepe. La democrazia americana, già ferita, ne esce con un altro livido in faccia.
E se questo è solo l’inizio della battaglia, allora prepariamoci: il peggio potrebbe ancora venire.


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