Quanto è probabile uno scenario di stagflazione in Europa?

- di: Davide Petrella, Portfolio Manager di Moneyfarm
 

Tra gli operatori dei mercati finanziari si è tornati a parlare di “stagflazione”, ossia la combinazione di inflazione elevata e bassi livelli di crescita reale. Nella fase attuale del ciclo economico, infatti, l’inflazione è tornata prepotentemente in scena, complici gli shock delle catene di approvvigionamento, di produzione e di distribuzione causati dalla pandemia prima e dall’invasione russa in Ucraina poi. 

Il risultato è che i Consumer Price Index (Cpi) si trovano oggi a livelli ben superiori rispetto allo storico dell’ultimo periodo sia nell’Eurozona che nel Regno Unito, mentre il target del 2% che rappresenta l’obiettivo delle Banche Centrali è ancora lontano (Figura 1).

 


La risposta di BCE e BoE allo shock inflattivo non si è fatta attendere e si è concretizzata nel rialzo dei tassi più repentino della storia recente, che ha contribuito a raffreddare l’inflazione negli ultimi mesi, senza tuttavia risolvere il problema alla radice. 

Occorre precisare come l’aumento generalizzato dei prezzi nel continente europeo sia fondamentalmente frutto di due concause:

  • Inflazione monetaria, cioè l’inflazione derivante dall’elevata liquidità che le banche centrali hanno iniettato nel sistema per far fronte alla pandemia;
  • Inflazione da offerta, cioè l’inflazione derivante dall’impennata dei costi di produzione che ha causato lo shock energetico dovuto alla crisi in Ucraina e che si è riversata sui consumatori finali.

Sebbene entrambe queste dinamiche concorrano all’aumento dell’inflazione, la seconda tende a sfuggire al controllo dei banchieri centrali e rischia di impattare negativamente anche sulla crescita, già compromessa dall’aumento dei tassi che ha determinato a sua volta un aumento del costo del denaro, complicando l’accesso al credito per imprese e consumatori. Se, da un lato, l’inasprimento della politica monetaria ha sicuramente contribuito al raffreddamento del trend inflattivo, bisogna considerare che l’inflazione è costituita da diverse componenti che possono reagire in maniera diversa ai rialzi dei tassi. La metrica tenuta in maggior considerazione dalle banche centrali, per avere una misura dell’inflazione che sia il più aderente possibile alla realtà, è la cosiddetta inflazione Core, che viene misurata sulla base dello stesso paniere con cui vengono calcolati i Cpi Headline (Figura 1), a cui viene sottratta la componente più volatile legata a energia e beni alimentari. Si tratta di un indicatore caratterizzato da una vischiosità superiore rispetto all’indice Headline, che solo recentemente ha iniziato a mostrare timidi segnali di rallentamento.

Nell’ultimo meeting di settembre, la Bce ha dato segnali più o meno incoraggianti sul raggiungimento del picco della stretta monetaria, affermando che, se mantenuto sufficientemente a lungo, il livello attuale dei tassi sarà abbastanza elevato da riportare l’inflazione dell’Eurozona sotto controllo. Tuttavia, la partita è ancora lontana dall’essere vinta, anche perché il rialzo del prezzo del petrolio al barile nelle ultime settimane e l’inizio ormai prossimo della stagione invernale rimettono al centro del dibattito i costi dell’energia i quali, se l’inverno alle porte si rivelasse freddo e i consumi elevati, potrebbero ostacolare il rallentamento dell’inflazione in Ue. Si stima che l’inflazione nell’Eurozona si attesterà intorno al 5,6% per la fine del 2023per poi normalizzarsi significativamente nel 2024, quando dovrebbe toccare il 2,9%.

Sul fronte della crescita, come accennato in precedenza, l’attuale contesto economico e i fattori di stress che hanno interessato le catene di approvvigionamento, hanno contribuito a una revisione al ribasso delle stime di crescita per l’Ue. Il Summer 2023 Economic Forecast, prevede un tasso di crescita nominale annuale per il Pil dell’Eurozona pari allo 0,8% nel 2023 e all’1,3% nel 2024.

Dunque, il quadro macroeconomico attuale racconta di un’inflazione ancora elevata e di una crescita, seppur positiva, in rallentamento rispetto alle stime precedenti. Ad aumentare il pessimismo degli economisti anche il fatto che l’indicatore di sorpresa legato alla pubblicazione dei dati economici continui a essere fortemente negativo per l’Eurozona e in netto calo per il Regno Unito (Figura 2). Si tratta di un indice molto popolare tra gli operatori, che stima di quanto i dati economici regolarmente pubblicati si discostino dai valori attesi dagli analisti: se il valore è positivo, i dati economici hanno mediamente superato le aspettative (e viceversa). L’Eurozona, continuando a riportare regolarmente dati al di sotto delle attese, mostra forti segnali di debolezza e il Regno Unito segnali di deterioramento.



Un’altra metrica da tenere in considerazione riguarda la produzione industriale: i tassi di crescita rispetto all’anno scorso sono attualmente pari a -2,2% per l’Ue e al +0,4% per Uk, a conferma del fatto che gli stress passati non sono ancora stati pienamente assorbiti (Figura 3). 

 

Tutti questi dati contribuiscono a spiegare perché la parola “stagflazione” è tornata sulla bocca degli esperti. L’inflazione rimane ben al di sopra dei livelli di guardia e l’incertezza crescente sul comparto energetico potrebbe rallentarne la normalizzazione. Per quanto riguarda la crescita, sia Ue che Uk hanno dovuto rivedere al ribasso le proprie stime e il contesto produttivo presenta ancora diverse sfide che potrebbero minare ulteriormente il quadro, facendo sì che inflazione elevata e crescita bassa (o addirittura negativa) coesistano all’interno dello stesso scenario. 

È inoltre fondamentale evidenziare che, sebbene Ue e Uk si trovino ad affrontare un contesto sotto certi aspetti similare, le differenze tra i due casi sono nette (basti semplicemente pensare che l’Eurozona è composta da 20 economie diverse) e le specificità in questione potrebbero portare a sviluppi opposti. Il compito di analisti e gestori resta quello di monitorare costantemente l’evoluzione del contesto macroeconomico e geopolitico, in modo da ottimizzare il profilo rischio/rendimento dei portafogli.

Attualmente non riteniamo quello stagflattivo come lo scenario più probabile. Il nostro caso base prevede un rallentamento dell’economia piuttosto contenuto e accompagnato da una progressiva normalizzazione dell’inflazione. Visto il contesto di incertezza sui mercati, riteniamo che un posizionamento conservativo e ben diversificato possa portare benefici agli investitori.

 

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