(Foto: Gilberto Turati, economista senior dell'Osservatorio Conti pubblici italiani).
È un quadro tutt’altro che rassicurante quello tracciato da Gilberto Turati e Gianmaria Olmastroni in un’analisi dettagliata dedicata ai primi dati della Piattaforma nazionale sulle liste di attesa, attiva dal 25 giugno 2025 sul sito di Agenas. Il sistema sanitario italiano rispetta i tempi di attesa previsti solo in metà dei casi, con prestazioni urgenti che superano spesso i limiti stabiliti dalla legge.
“Per le prestazioni più urgenti – affermano Turati e Olmastroni – solo 6 delle 10 visite più comuni vengono effettuate nei tempi nel 75% dei casi. Per gli esami, 8 su 20. E le colonscopie restano un disastro: la metà dei pazienti aspetta più di un mese, e un quarto anche 190 giorni”.
La piattaforma rappresenta un primo passo verso una maggiore trasparenza, ma è ancora molto distante dall’essere uno strumento utile per il cittadino: i dati sono solo nazionali, mancano quelli regionali e per singola struttura, e non vengono indicati i tempi massimi effettivamente registrati. “Un portale che non consente al paziente di sapere quanti giorni dovrà aspettare nella propria città – scrivono gli economisti – è un portale zoppo”.
Solo in pochi casi i tempi vengono rispettati
Nelle prestazioni classificate con la massima urgenza (entro 3 giorni), il quadro mostra un’Italia sanitaria a due velocità. In 9 visite su 10, la metà delle prenotazioni è effettivamente in tempo. Ma solo in 4 casi si arriva al 75%. Peggio ancora per la priorità entro 10 giorni, dove quasi nessuna visita o esame, tranne la radiografia toracica, raggiunge quella soglia. In molte visite, i tempi raddoppiano.
Il quadro si fa ancora più sconfortante con l’abbassarsi dell’urgenza. Nella fascia di “bassa urgenza” (entro 30 giorni per le visite e 60 per gli esami), solo in 2 visite su 10 la metà delle prestazioni è nei tempi. In nessun caso si tocca il 75%. Le visite dermatologiche, oculistiche e geriatriche registrano punte di attesa che “superano anche i 170 giorni”. Tra le prestazioni “non urgenti”, il 50% dei casi è in regola per la quasi totalità di visite ed esami, ma la soglia del 75% resta un miraggio: “solo in 3 visite su 10 e 10 esami su 20”.
Piattaforma monca e ritardi attuativi
Se i dati sono parziali, il quadro normativo non è più incoraggiante. Il decreto-legge dello scorso anno prevedeva sei decreti attuativi: due non sono ancora stati adottati, mentre gli altri quattro sono stati pubblicati con mesi di ritardo. “L’avvio della piattaforma – sottolineano Turati e Olmastroni – è avvenuto con un ritardo di un anno, nonostante l’urgenza. E non è ancora chiaro quando saranno disponibili i dati disaggregati”.
Una delle novità più significative è l’istituzione dell’Organismo nazionale di verifica e controllo, che potrà sostituirsi alle Regioni in caso di continue irregolarità. Un potere forte, almeno sulla carta, ma ancora da testare. “L’intesa Stato-Regioni è arrivata solo il 12 giugno – ricordano gli autori – e ora serviranno altri quattro mesi per passare dalla teoria all’azione”.
Un esempio su tutti: la chiusura delle prenotazioni, pratica illegale ma ancora molto diffusa, per cui l’Organismo potrà intervenire direttamente. Ma senza la piena collaborazione delle Regioni, l’efficacia di questo nuovo ente resta incerta.
CUP e personale, i nodi ancora irrisolti
Due misure centrali restano del tutto inattuate: l’adesione obbligatoria al CUP regionale da parte di tutti gli operatori sanitari e il superamento del tetto alla spesa per il personale.
Sul primo punto, solo la Lombardia ha fatto passi avanti. “Secondo l’assessore regionale Bertolaso – riferiscono Turati e Olmastroni – il sistema centralizzato dovrebbe entrare in funzione entro fine 2026”. Ma senza un decreto ministeriale tecnico e una reale attivazione da parte delle Regioni, resta un auspicio.
Sul personale, la situazione è ancora più ferma. La rimozione del tetto di spesa è subordinata a un piano triennale da definire con uno o più decreti, che “non hanno scadenza e non risultano nemmeno in bozza”. Risultato: continua ad applicarsi la normativa vigente, che congela l’organico.
Una trasparenza ancora opaca
Nel complesso, il giudizio è netto: il portale nazionale è un passo simbolico verso la trasparenza, ma ancora troppo limitato per incidere davvero sull’esperienza del cittadino. I dati sono parziali, i ritardi attuativi numerosi, e il sistema sanitario riesce a rispettare i tempi solo in una prestazione su due. Per il resto, la situazione è gravemente disomogenea e spesso critica.
Come scrivono in conclusione Turati e Olmastroni, “la vera sfida sarà trasformare strumenti incompleti in leve operative, e dare al cittadino non solo dati, ma risposte”.