Sulla legge di bilancio è (quasi) rissa nella maggioranza

- di: Redazione
 
C'è un confine che, chi sta al governo, dovrebbe cercare di non oltrepassare mai perché, una volta che viene superato, l'esecutivo rischia di cominciare a perdere forza, come conseguenza della palese mancanza di coesione.
E questo confine impone di non fare sentire, al di fuori del Palazzo, l'eco delle contrapposizioni che, tradizionalmente, immancabilmente, inesorabilmente, si manifestano quando la lunga corsa verso il varo della legge di bilancio entra nelle battute finali.

Sulla legge di bilancio è (quasi) rissa nella maggioranza

Invece, dentro il Governo, gli scontri non solo si ripetono a cadenza a dir poco ravvicinata, ma danno l'impressione di salire d'intensità, quasi che non sia evidente che, così facendo, la tanto sbandierata compattezza dell'esecutivo viene a dimostrarsi uno scudo mediatico e niente di più.
Il protagonista indiscusso - anche se forse non ci teneva affatto a diventarlo - è di sicuro il ministro dell'Economia. Quando si avvicina velocemente la fase in cui cominciare a mettere nero su bianco il testo della legge, Giancarlo Giorgetti ha semplicemente fatto un appello ai componenti del governo affinché siano consapevoli della difficoltà del momento e, quindi, di avere la sensibilità di dare una sforbiciata all'elenco di richieste che ciascuno di loro farà.

Un appello al buonsenso, che Giorgetti ha fatto confidando nella consapevolezza che i suoi colleghi dovrebbero avere che le casse pubbliche languono e quindi, se non si aumenteranno le tasse (come Giorgia Meloni rivendica di non volere fare, essendo, ha detto, questo esclusiva prerogativa dei governi di sinistra), da qualche parte bisognerà tagliare. E siccome sa che dalle nostre parti è forse meglio parlare molto chiaro, per evitare di non riuscire a farsi capire, Giorgetti ha raccontato un pezzo della sua storia personale per dire che sa già chi dovrà pagare di più, non perché a lui piace così, ma solo perché è giusto: "Oggi il ministro delle Finanze e dell’economia non è un banchiere o un professore, ma è un figlio di pescatore e un’operaia tessile, ve lo dico con grande tranquillità, noi siamo dalla parte della gente che lavora, produce e oggi fa sacrifici".
E, parlando della costituzione (in particolare dell'art. 53 della Costituzione), ha sottolineato che "i sacrifici li devono fare tutti, in base a chi ha più capacità contributiva: il governo con grande serietà e responsabilità sta cercando di tradurre in fatti questo principio di buon senso".

Quindi un messaggio tranquillizzante verso il popolo, la gente, gli amministrati, ma anche un segnale verso chi i soldi li ha fatti e in grande quantità e spera che questo non determini un peso fiscale maggiore del previsto.
Ma, contestualmente, le parole di Giorgetti sembrano portarsi dietro un segnale lanciato agli altri ministri affinché siano moderati, non chiedendo la luna oppure per non mettersi per traverso su provvedimenti che purtroppo sono necessari.

Un auspicio, quello di Giorgetti, che non fa certo dimenticare che alcuni suoi colleghi, quando c'è da nominare questo o quello, di aumentare il loro staff e di chiamare nuovi consulenti (lo giuriamo: non abbiamo affatto pensato all'ex ministro Sangiuliano, che almeno un consulente lo voleva nominare a titolo gratuito) non si hanno remore.
Eppure il clima si sta surriscaldando e la cartina di tornasole è la levata di scudi di Forza Italia contro ogni ipotesi di tassare gli extraprofitti. Tema questo di cui lo stesso Antonio Tajani non vuole nemmeno sentire parlare, quasi fosse una bestemmia, quasi che l'enorme gettito ulteriore che le banche hanno avuto negli ultimi anni godesse di una "extraterritorialità" fiscale.
E non è che Tajani ha tergiversato, quando, davanti ad una platea amica, ha detto, con il suo solito modo pacato, che "la a tassazione degli extra profitti non è prevista neanche nei piani del Governo" e che quindi Forza Italia non accetterà mai di dare il suo placet ad un provvedimento "da Unione Sovietica".

"Con noi non ci saranno mai tasse sugli extra profitti delle banche", ha detto Tajani, pur ammettendo che "la manovra non sarà facile. ma la dobbiamo scrivere tutti assieme. Non c'è uno che la scrive e gli altri che l'approvano. La scriviamo tutti quanti assieme, l'approviamo tutti insieme nel Consiglio dei ministri e poi l'approveremo tutti quanti assieme in Parlamento".
E quell' "uno che scrive" sembra essere definizione tagliata sulle misure di Giancarlo Giorgetti.

Tutto chiaro?
Nemmeno a parlarne perché, in consiglio dei ministri, Tajani ha come compagni di banco i leghisti che invece gli extraprofitti delle banche le vogliono proprio tassare e anche sul serio. E non lo ha detto l'ultimo arrivato, ma lo stesso Matteo Salvini che, sul pratone di Pontida, ha affermato che bisogna "fare pagare i banchieri e non certo gli operai". Ora, al netto del fatto che Salvini spesso dice quello che la gente vuole sentire, cavalcando i mal di pancia del momento, questo delle tasse sugli extraprofitti è, tutto sommato, un tema di quelli che tira. Ma si sa che anche la corda più robusta, a furia di strattoni, si può spezzare.
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