La nostra biblioteca - Kotaro - La vendetta del professor Suzuki - Il mite che indossa i panni del vendicatore

- di: Diego Minuti
 
La vendetta è, dalla notte dei tempi, uno degli argomenti che animano la letteratura. Basta solo pensare ad Achille che, per cancellare il ricordo di Patroclo, tinge la sua spada del sangue dei troiani.
La voglia di raccontare i meccanismi di cancellazione di torto - vero o solo sospettato - che si pensa di avere subito ha mosso tantissimi autori, attraversando periodi storici e pagine.
Quindi, quando uno scrittore o un drammaturgo si confrontano con questa tematica, corrono sempre il rischio di innescare un processo di deja vu, perché bisogna ammettere che è ben difficile interpretare questo aspetto della natura umana senza che si riecheggino altri romani o racconti.
E' un po' quello che accade leggendo ''La vendetta del professor Suzuki'' (Einaudi - pag.337 - 18,50 euro), di Isaka Kotaro (cui ''I sette killer dello Shinkasen'' ha dato fama mondiale), in cui un uomo, che ha dedicato la sua vita allo studio e all'insegnamento (è docente di matematica), si scontra contro il Male, incarnato da un giovane, figlio di un boss, che, alla guida di un veicolo, gli travolge, uccidendola, la moglie.

La nostra biblioteca - Kotaro - La vendetta del professor Suzuki

Dopo avere cercato di metabolizzare, quindi razionalmente, la perdita della moglie, Sukuzi si scontra con una realtà che per lui, abituato ai numeri e alla loro rigide regole, è inimmaginabile, comprendendo che la vita, nel Giappone contemporaneo raccontato da Kotaro, si divide in due distinte dimensioni: quella della legge rispettata e osservata, e l'altra in cui tutto si ritiene possibile, anche a dispetto delle regole che altri seguono.
Una realtà fatta di connivenze e paure, in cui tutti sembrano non volersi ribellare alla mafia locale, che tira i fili di tutti le attività e comanda anche sulla legge e i suoi esponenti. Davanti alla consapevolezza che nessuno sazierà la sua sete di giustizia, il professore decide che gli resta solo la vendetta, che però reclama sacrifici. A partire dal fatto di cancellare le sue certezze, a cominciare dal rispetto delle regole e per sé stesso.
Per questo il mite sveste i panni del buon marito devastato dal dolore e del buon cittadino, decidendo di cambiare pelle e di cercare la sua vendetta fidando solo su sé stesso e sulla sua capacità di mettere da parte ogni remora, pur di vendicarsi, infiltrandosi nell'organizzazione mafiosa, a costo di violentare la sua morale.

Il tema che Isaka Kotaro - quello della ribellione del mite - non è certo nuovo e, tanto per non andare lontano, il professore Sukuzi ricorda il Giovanni Vivaldi de ''Un borghese piccolo piccolo'', di Vincenzo Cerami, la cui trasposizione cinematografica regalò una delle prove migliori di Alberto Sordi.
A Vivaldi, un grigio impiegato statale che aspetta solo la pensione, viene assassinato l'unico figlio durante una rapina; a Suzuki viene uccisa la moglie. Ad entrambi lo Stato non dà risposte, che loro si vanno a cercare da soli. Il professore Suzuki, come Vivaldi, si cala nel mondo di una violenza che rifiuterebbero se non dovesse vendicare un affetto dolorosamente negato.

La dimensione in cui Suzuki si muove è quella di un Giappone che attraversa la modernità, accentuandone gli aspetti stranianti, quelli in cui la moltitudine delle persone vive sgomitando, alla ricerca di spazi fisici, prima che esistenziali. Per questo (Kotaro, raccontando, spiega molte cose) la lettura del romanzo, seguendo le vicissitudini del tranquillo professore, fa comprendere i confini della cappa morale che grava su milioni di persone che subiscono, ma non accettano la legge della forza e della prevaricazione. ''La vendetta del professore Suzuki'' però non è solo un racconto a tinte forti di una vendetta, ma anche una guida per capire che in fondo, della realtà del Giappone, in fondo conosciamo ben poco.
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