Italian Sounding: quanto vale e come trasformarlo in export Made in Italy ​

- di: Benedetta Brioschi, Associate Partner e Responsabile Food&Retail e Sustainability, The European House – Ambrosetti
 

La filiera agroalimentare italiana si configura come uno dei pilastri della competitività del made in Italy a livello globale, grazie alle sue eccellenze gastronomiche, alla produzione di alta qualità e alla radicata tradizione storica nei territori.

Italian Sounding: quanto vale e come trasformarlo in export Made in Italy

Che gli stranieri apprezzino la nostra produzione agroalimentare è testimoniato dalla continua crescita delle esportazioni, che nel 2022 hanno raggiunto il valore record di 58,8 miliardi di Euro. Il Bel Paese si contraddistingue soprattutto come 1° esportatore nel mondo di alcuni prodotti strettamente legati alla tradizione culinaria italiana, a partire da polpe e pelati di pomodoro (76,7% sul totale dell’esportazione mondiale) e pasta (48,4%), e come 2° esportatore nel mondo di vino (20,7%) e formaggi freschi (15,4%).

La proiezione internazionale della filiera agroalimentare non è tuttavia al massimo del suo potenziale, a causa di una serie di ostacoli che ne limitano la piena espansione: l’Italia si posiziona solo come 5° Paese europeo per valore delle esportazioni agroalimentari, dietro a Paesi Bassi, Germania, Francia e Spagna. Non solo: nel 2022 la bilancia commerciale italiana è tornata ad essere negativa, con un saldo di -2,0 miliardi di Euro, trainata in particolare modo dal deficit del comparto agricolo. A limitare la diffusione dei prodotti agroalimentari italiani nel mondo è inoltre la frammentazione del settore. The European House – Ambrosetti ha svolto un’analisi sui dati di bilancio pluriennali di tutte le aziende attive nel settore dell’alimentare e delle bevande, con oltre 3 milioni di osservazioni, da cui emerge che in Italia l’85,4% delle imprese sono piccole e contribuiscono soltanto al 14,6% dei ricavi del settore – laddove in Spagna e in Germania la quota di piccole imprese scende al 70,3% e al 56,0% rispettivamente.

A dare il colpo di grazia è il fenomeno dell’Italian Sounding, definito come l’utilizzo di denominazioni, riferimenti geografici, immagini, combinazioni cromatiche e marchi che evocano l’Italia su etichette e confezioni di prodotti agroalimentari che italiani non sono.

Per quantificare come questo fenomeno possa impattare la filiera agroalimentare italiana, The European House – Ambrosetti ha svolto una survey indirizzata a oltre 250 retailer a livello globale, che ha permesso di studiare in dettaglio come 11 prodotti tipici della dieta italiana sono presenti negli scaffali dei 10 Paesi in cui il fenomeno dell’Italian Sounding è più diffuso. L’obiettivo dell’indagine è stato di approfondire la presenza di prodotti agroalimentari tipici della tradizione italiana negli scaffali di tutto il mondo, creando dei coefficienti per quantificare la discrepanza tra prodotti italiani originari dall’Italia e provenienti da paesi esteri, pur essendo tipici della dieta italiana.

A partire da questo perimetro, è stato stimato il valore complessivo dell’Italian Sounding nel mondo, pari a 91 miliardi di Euro nel 2022. Considerando tuttavia che, per motivi di economicità, alcuni consumatori esteri acquistano consapevolmente prodotti non veri italiani, il valore dell’Italian Sounding può essere ricondotto alla cifra di 60 miliardi di Euro. Pertanto, qualora la voglia di italianità fosse soddisfatta da prodotti Made in Italy e venisse così recuperato il fenomeno dell’Italian Sounding, il potenziale di esportazione cumulato per il Paese sarebbe pari a 119 miliardi di Euro.

Quantificare l’Italian Sounding si rivela essenziale non solo per visualizzare il potenziale della filiera agroalimentare italiana nel mondo, ma anche per delineare interventi mirati a contrastare tale fenomeno. È stato stimato che, se le Istituzioni e gli stakeholder convogliassero i loro sforzi in questo obiettivo, e a seconda di quanto i fondi pubblici, gli investimenti privati e la produttività delle imprese incrementeranno, la filiera sarebbe in grado di soddisfare la voglia di italianità nel mondo con reale Made in Italy convertendo il fenomeno dell’Italian Sounding in export in una tempistica che va da 11 a 27 anni, a seconda dell’accelerazione dello scenario ipotizzato.

A tale fine, sarà cruciale stimolare la propensione agli investimenti dei soggetti coinvolti nell’agroalimentare italiano. Negli anni a venire, consumatori, aziende agroalimentari italiane, Istituzioni nazionali e locali sono chiamati ad agire con risolutezza su più livelli, realizzando investimenti produttivi nel settore, aumentando la consapevolezza degli stranieri rispetto alla produzione agroalimentare italiana, comunicando con efficacia il marchio made in Italy, siglando accordi per ridurre le barriere tariffarie e doganali e, allo stesso tempo, disincentivare l’indicazione fallace, promuovendo la tracciabilità dei prodotti grazie alle innovazioni tecnologiche.

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