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Italia: otto dipendenti su dieci chiedono più formazione digitale

- di: Redazione
 
Italia: otto dipendenti su dieci chiedono più formazione digitale

Il mercato del lavoro italiano appare in ritardo sul fronte delle competenze. Secondo un’indagine condotta da Deloitte, quasi l’80% dei lavoratori ritiene che la propria azienda non fornisca un supporto sufficiente nello sviluppo professionale. La richiesta più pressante riguarda la formazione legata alle nuove tecnologie: dalla digitalizzazione dei processi interni all’uso dell’intelligenza artificiale negli uffici e nelle fabbriche.

Italia: otto dipendenti su dieci chiedono più formazione digitale

Il dato mette in luce una frattura evidente tra le esigenze del sistema produttivo e la preparazione percepita dai dipendenti. In un Paese caratterizzato da tessuto industriale frammentato e PMI ancora poco digitalizzate, la mancanza di programmi strutturati di reskilling rischia di rallentare la competitività.

Un gap culturale e strutturale
L’Italia presenta due criticità intrecciate. Da un lato la scarsa propensione delle imprese a investire stabilmente nella formazione: molte aziende, soprattutto piccole e medie, considerano la formazione un costo più che un investimento. Dall’altro lato, i lavoratori stessi faticano a percepire l’apprendimento continuo come parte integrante del lavoro. Ne deriva un circolo vizioso: la carenza di skill digitali alimenta la resistenza al cambiamento, che a sua volta frena l’innovazione.

Le conseguenze per la produttività
Le implicazioni economiche sono significative. Secondo stime dell’Ocse, il gap di competenze digitali costa all’Italia fino a un punto di crescita del Pil potenziale ogni anno. L’assenza di personale adeguatamente formato riduce l’efficacia degli investimenti tecnologici e limita la capacità delle imprese di competere nei mercati globali. Non a caso, nei ranking europei sulla digitalizzazione (DESI) l’Italia resta stabilmente nella parte bassa della classifica.

Il ruolo delle nuove tecnologie
Il sondaggio Deloitte indica chiaramente che la priorità, per i lavoratori italiani, è colmare il divario sulle competenze digitali. La trasformazione in corso riguarda tutti i settori: dall’industria manifatturiera, dove servono tecnici capaci di gestire macchinari interconnessi e sistemi di automazione, ai servizi, dove crescono le richieste di competenze legate ai dati, alla cybersecurity e al marketing digitale.

Senza percorsi di aggiornamento mirati, il rischio è quello di un mercato del lavoro polarizzato: da un lato una minoranza di lavoratori iper-specializzati, dall’altro una maggioranza esclusa dalle opportunità offerte dalla rivoluzione tecnologica.

Le possibili soluzioni
La ricerca richiama il modello dei tailored training programme promossi dal World Economic Forum: percorsi di aggiornamento su misura, calibrati sulle esigenze di singoli dipendenti o piccoli gruppi. L’Italia potrebbe adottare questa logica, integrandola con incentivi fiscali e fondi europei per la formazione.

Già oggi esistono strumenti come il Fondo Nuove Competenze e i programmi regionali di reskilling, ma l’efficacia resta limitata dalla burocrazia e dalla mancanza di coordinamento tra istituzioni e imprese. Per fare la differenza serve una strategia di lungo periodo che trasformi la formazione continua in asset strutturale, non episodico.

Una questione di competitività nazionale
Il nodo delle competenze non riguarda solo i singoli lavoratori, ma la posizione dell’Italia nello scenario europeo. Nei prossimi dieci anni, i Paesi che sapranno colmare il gap digitale guideranno la crescita e attrarranno capitali. Se l’Italia non riuscirà a ridurre il divario, rischia di consolidare il proprio ruolo marginale.

Dal percepito ai numeri reali
L’80% di lavoratori che chiede più formazione non è solo un dato statistico: è un campanello d’allarme per le imprese e per il governo. Trascurare la questione significa rinunciare a una parte significativa di produttività futura. Al contrario, investire oggi in formazione digitale può garantire ritorni in termini di competitività, innovazione e attrattività del Paese.

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