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ITA Airways, miliardi pubblici per farla decollare. Ma chi ci ha guadagnato davvero?

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
ITA Airways, miliardi pubblici per farla decollare. Ma chi ci ha guadagnato davvero?

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 99 dell’8 luglio 2025, ha stabilito che non vi sia continuità tra Alitalia e ITA Airways, legittimando la scelta di non reintegrare i lavoratori esclusi dalla nuova compagnia. Ma se la questione giuridica appare chiusa, quella economica è tutt’altro che archiviata. Perché dietro la separazione formale, resta l’interrogativo: quanti soldi pubblici sono stati impiegati per costruire ITA e dove sono finiti i vantaggi per il Paese?

ITA Airways, miliardi pubblici per farla decollare. Ma chi ci ha guadagnato davvero?

ITA è nata nel 2021 come creatura interamente pubblica. Lo Stato ha investito oltre 1,3 miliardi di euro in tre anni per farla partire. A questo si aggiungono i finanziamenti concessi alla vecchia Alitalia, tra cui i noti prestiti-ponte per circa 1,3 miliardi, in gran parte non recuperati. Ma la spesa non finisce qui: con l’esclusione di circa 2.000 lavoratori, lo Stato ha dovuto sostenere ammortizzatori sociali e politiche passive, per un esborso che supera i 150 milioni di euro in tre anni. A conti fatti, oltre 2,8 miliardi di risorse pubbliche sono stati impiegati nella transizione tra vecchia e nuova compagnia.

Gli slot, asset strategici mai valorizzati
Uno degli elementi più delicati riguarda gli slot aeroportuali — i diritti di decollo e atterraggio in aeroporti chiave come Linate, Fiumicino e Heathrow — trasferiti da Alitalia a ITA senza procedura di gara. In assenza di continuità aziendale, le norme europee prevedono che quegli slot vengano riassegnati in modo trasparente. Invece sono passati direttamente alla nuova compagnia, senza alcuna compensazione economica per lo Stato. Secondo stime non ufficiali, il valore complessivo di quei diritti avrebbe potuto superare i 250 milioni di euro. Un’occasione persa, che oggi pesa come un buco sul bilancio pubblico.

I lavoratori esclusi e la reputazione del sistema
La scelta di non includere i dipendenti Alitalia ha avuto un impatto non solo economico, ma anche reputazionale. Professionisti esperti del settore sono stati lasciati a terra senza prospettive chiare di ricollocamento, contribuendo a una narrazione di discontinuità sociale oltre che industriale. Il messaggio lanciato al mondo del lavoro è stato quello di una ristrutturazione a carico dei più deboli, mentre le strutture operative venivano rese appetibili per investitori esteri. Una dinamica che ha minato la fiducia nei percorsi di transizione controllata promossi dalle istituzioni.

L’ingresso di Lufthansa: prezzo politico o scelta strategica?
Nel 2024, Lufthansa ha acquisito il 41% di ITA Airways per 325 milioni di euro. Il piano prevede l’aumento della partecipazione fino al 90%, lasciando allo Stato italiano un ruolo sempre più marginale. A fronte di quasi 3 miliardi di fondi pubblici investiti, l’ingresso del partner tedesco appare come una svendita in condizioni favorevoli, senza clausole forti di tutela del presidio industriale sul territorio italiano. Non sono state previste garanzie occupazionali, né obblighi di mantenimento degli hub italiani. La compagnia, alleggerita da ogni zavorra, è stata ceduta pronta all’uso.

Una strategia a saldo negativo?
ITA Airways chiude il bilancio 2024 ancora in perdita, con un rosso operativo di oltre 200 milioni di euro. I ricavi crescono, ma l’equilibrio finanziario è lontano. Il nuovo partner industriale potrà contribuire al rilancio? Forse. Ma nel frattempo, l’Italia ha speso molto e raccolto poco. L’operazione, più che un investimento strategico, sembra essersi tradotta in un percorso di alleggerimento per rendere la compagnia appetibile a costo zero per un colosso europeo. E nel gioco dei costi e dei benefici, a oggi lo squilibrio resta evidente.

Chi ha pagato? Lo Stato. Chi ha ottenuto il controllo? Lufthansa. Chi è rimasto a terra? I lavoratori. Il conto è ancora aperto.

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