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Aggredito dai coloni, poi arrestato dall’esercito: che fine ha fatto Hamdan Ballal?

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Aggredito dai coloni, poi arrestato dall’esercito: che fine ha fatto Hamdan Ballal?

È accaduto tutto in poche ore, ma l’eco del silenzio che è seguito è assordante. Hamdan Ballal, giovane palestinese e uno dei quattro registi del film-documentario No Other Land, è stato aggredito da coloni israeliani mentre si trovava nella zona di Masafer Yatta, un’area della Cisgiordania da anni al centro di uno scontro aspro e irrisolto. A poche ore dall’aggressione, l’esercito israeliano è intervenuto. Ma invece di arrestare gli autori dell’attacco, ha portato via Ballal. Da quel momento, nessuno sa più dove si trovi.

Aggredito dai coloni, poi arrestato dall’esercito: che fine ha fatto Hamdan Ballal?

La notizia è stata confermata da fonti vicine alla produzione del film e rilanciata da numerosi attivisti e testate internazionali. Non esiste, al momento, alcuna comunicazione ufficiale sul motivo dell’arresto né sul luogo in cui Ballal sarebbe detenuto. “Sappiamo solo che è stato trascinato via, dopo essere stato aggredito. Ed è sparito,” ha dichiarato un collega del regista, che preferisce restare anonimo per sicurezza.

Chi è Hamdan Ballal
Hamdan Ballal non è solo un regista. È anche uno degli attivisti più giovani e visibili del movimento contro l’espulsione dei palestinesi da Masafer Yatta, dove oltre 1.000 abitanti rischiano di essere sfrattati per fare spazio a un’area di addestramento militare israeliana. Il suo lavoro cinematografico nasce da questa militanza. Insieme al regista israeliano Yuval Abraham e ad altri due colleghi, ha realizzato No Other Land, un film che racconta la resistenza quotidiana dei palestinesi all’occupazione, con uno sguardo che va oltre la cronaca e punta dritto alla coscienza collettiva.

“No Other Land”, un film che disturba
Il documentario è stato premiato con l’Audience Award e il premio per il Miglior Documentario alla Berlinale 2024. Un successo straordinario, non solo per la qualità del racconto, ma per il coraggio politico che lo anima: mostra la violenza dell’occupazione e la collaborazione fra palestinesi e israeliani nel documentarla. Yuval Abraham, al momento della premiazione, aveva dichiarato: “Non ci può essere uguaglianza finché esiste un regime di apartheid.”

Dopo il premio, sono aumentati i riflettori sul film — e sui suoi autori. Non è la prima volta che registi, giornalisti e attivisti vengono presi di mira per il loro lavoro in zone sensibili come la Cisgiordania. Ma l’arresto di Ballal segna un salto inquietante: non stava protestando, non stava lanciando sassi, non era armato. Stava semplicemente documentando. E per questo è stato portato via.

Una zona sotto assedio
Masafer Yatta è una delle aree più a rischio della Cisgiordania. Negli ultimi mesi, con l’escalation del conflitto tra Israele e Gaza, le aggressioni dei coloni contro i palestinesi si sono moltiplicate. Denunciate da organizzazioni come B’Tselem e Human Rights Watch, spesso avvengono con il tacito — o esplicito — sostegno dell’esercito israeliano. Case incendiate, pozzi avvelenati, animali uccisi. E, sempre più spesso, documentaristi e attivisti presi di mira.

Il silenzio delle istituzioni
Da giorni, colleghi e attivisti chiedono chiarimenti. “Chiediamo all’esercito israeliano di rilasciare immediatamente Hamdan Ballal o almeno di spiegare dove si trovi e in che condizioni,” ha dichiarato in un comunicato il team di produzione di No Other Land. Anche alcune organizzazioni internazionali hanno lanciato un appello urgente per il rilascio.

Ma per ora, nessuna risposta. Solo un vuoto che fa paura.

La libertà di raccontare è sotto attacco
In un mondo in cui l’informazione corre veloce e le immagini sono tutto, il lavoro di registi come Ballal diventa un atto politico. Documentare è resistere. Ma proprio per questo è anche un rischio. In territori dove la narrazione ufficiale è blindata, ogni voce alternativa diventa un bersaglio.

Ballal non è un militante qualunque. È un giovane con una videocamera che ha scelto di raccontare ciò che vede. E per questo oggi è detenuto.

La domanda che resta
La comunità internazionale guarda — per ora — in silenzio. I festival che hanno celebrato No Other Land cominciano a mobilitarsi. Ma intanto Hamdan Ballal resta invisibile.

E la domanda resta sospesa, drammatica, necessaria: dov’è Hamdan? E perché raccontare è diventato un crimine?

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