Israele rafforza la sua presenza nella zona cuscinetto al confine con la Siria

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 

La dichiarazione del ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, riguardo alla permanenza a tempo indeterminato dell’esercito israeliano nella cosiddetta "zona cuscinetto" lungo il confine con la Siria, aggiunge un nuovo tassello alla già intricata partita geopolitica in Medio Oriente. Se ufficialmente questa decisione è motivata da esigenze di sicurezza, il suo significato strategico va ben oltre la retorica ufficiale, toccando i delicati equilibri della regione.

Israele rafforza la sua presenza nella zona cuscinetto al confine con la Siria

La "zona cuscinetto" in questione affonda le sue radici nei negoziati del 1974, seguiti alla guerra del Kippur. All’epoca, l’accordo di disimpegno tra Israele e Siria, mediato dalle Nazioni Unite, prevedeva una striscia demilitarizzata, pattugliata dalla missione UNDOF (United Nations Disengagement Observer Force), con lo scopo di evitare scontri diretti tra le due potenze. Per decenni, questa fragile intesa ha retto, con sporadiche tensioni mai sfociate in una vera escalation.

Tuttavia, la situazione è cambiata radicalmente con il collasso del regime di Bashar al Assad. A dicembre 2024, con la fine del lungo conflitto civile e il conseguente ridisegno della mappa del potere in Siria, Israele ha occupato la zona cuscinetto, giustificando l’intervento con la necessità di evitare che gruppi jihadisti, in particolare Hayat Tahrir al Sham (ex Fronte al Nusra), prendessero il controllo di un’area strategica.

Ora, a distanza di mesi, l’annuncio del ministro Katz conferma che questa presenza non sarà temporanea. Israele non si limiterà più a garantire la sicurezza dei suoi confini: l’operazione si trasforma in una vera e propria ridefinizione dell’assetto territoriale, con implicazioni geopolitiche di ampia portata.

Il nodo strategico del Golan e della sicurezza regionale
Non è un caso che questa decisione arrivi in un momento in cui il Medio Oriente è attraversato da nuove tensioni. Il territorio del Golan, già annesso unilateralmente da Israele nel 1981 e mai riconosciuto a livello internazionale, rappresenta un punto nevralgico per la sicurezza dello Stato ebraico. Dalla sommità del monte Hermon, l’esercito israeliano può monitorare con precisione i movimenti militari fino a Damasco, una posizione strategica che nessun governo israeliano è disposto a cedere.

Ma c’è di più. La presenza prolungata nella zona cuscinetto serve anche a contenere l’influenza dell’Iran e dei suoi proxy, in particolare Hezbollah, che negli ultimi anni ha rafforzato la sua presenza in Siria. Israele considera l’asse Teheran-Damasco-Hezbollah una minaccia esistenziale e, attraverso operazioni mirate, sta cercando di disarticolare questa rete. Non è un caso che negli ultimi mesi siano aumentati i raid aerei israeliani su obiettivi iraniani in Siria, confermando una strategia più ampia di contenimento dell’influenza sciita nella regione.

Le reazioni internazionali e il rischio di escalation
La decisione israeliana non è passata inosservata. Le Nazioni Unite hanno ribadito la necessità di rispettare l’integrità territoriale della Siria e di evitare occupazioni de facto che possano alterare gli equilibri già precari della regione. Tuttavia, la comunità internazionale si trova in una posizione di debolezza: l’ONU ha perso progressivamente peso nel conflitto siriano e le grandi potenze, dagli Stati Uniti alla Russia, hanno altre priorità strategiche.

Damasco, dal canto suo, si trova in una posizione di estrema debolezza. Con un governo di transizione fragile e un paese ancora devastato dalla guerra, la Siria non ha né i mezzi né la forza politica per contrastare la mossa israeliana. Eppure, l’Iran e Hezbollah potrebbero non restare a guardare. Un aumento delle operazioni di sabotaggio, attacchi con droni o missili contro le postazioni israeliane nella zona cuscinetto potrebbe far precipitare la situazione.

Israele tra deterrenza e espansione territoriale
L’annuncio di Katz segna un ulteriore passo verso una strategia israeliana sempre più assertiva. La dottrina della sicurezza nazionale di Tel Aviv non si limita più a proteggere i confini esistenti, ma punta a un controllo più ampio delle aree limitrofe per prevenire minacce prima ancora che emergano.

Questa strategia, sebbene efficace sul breve termine, rischia di trasformare il confine siriano in una nuova area di scontro, con conseguenze imprevedibili. Israele si sta muovendo su un filo sottile: da un lato rafforza la sua deterrenza, dall’altro rischia di trovarsi coinvolto in un conflitto di lunga durata, con attori regionali pronti a sfruttare ogni errore per rimescolare le carte.

Una partita aperta nel cuore del Medio Oriente

La decisione di restare nella zona cuscinetto al confine con la Siria non è solo una questione militare: è una mossa strategica che ridefinisce gli equilibri del Medio Oriente. Israele sta consolidando il suo controllo su un’area di grande valore strategico, in un momento in cui la Siria è ancora lontana dalla stabilizzazione.

Questa occupazione prolungata non sarà priva di conseguenze. L’Iran e Hezbollah potrebbero intensificare le loro azioni, la comunità internazionale potrebbe reagire con nuove pressioni diplomatiche, mentre lo stesso governo israeliano dovrà valutare il rischio di un’escalation.

Quel che è certo è che il confine israelo-siriano torna a essere una delle aree più calde dello scacchiere mediorientale. E le mosse che verranno decise nei prossimi mesi potrebbero avere ripercussioni ben oltre i territori contesi.

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