Inondazioni in Emilia Romagna, dopo due anni tutto come prima

- di: Redazione
 
Un territorio sfregiato, sempre sotto la paura che, al primo evento atmosferico estremo, tutto salti in aria, come birilli colpiti da una palla da bowling, è un'offesa per un Paese che, mettendosi sul petto le medaglie della sua Storia e della sua cultura, ha guardato al clima e a come esso impatti sulla vita delle persone come ad un problema secondario, che deve essere risolto dalla comunità internazionale prima che dalla nostra.
Le immagini che rimbalzano in queste ore sui notiziari sono un atto d'accusa per tutti, a cominciare dalla classe politica (senza distinzione di colore, senza confini temporali, quindi quella di ieri e, per la sua parte di responsabilità, di oggi) che s'avvede della gravità della situazione solo quando le esplode davanti agli occhi, solo vedendo centinaia di persone costrette ad abbandonare le loro case e il loro passato, senza avere alcuna certezza di potere tornare nelle prime e ricostruire il secondo.

Le alluvioni in Emilia-Romagna un atto d'accusa per la politica (di oggi e di ieri)

Sembra di essere in un film horror, in cui il protagonista è costretto a rivivere le stesse situazioni di terrore, senza potere fare nulla per fermare il loop dell'angoscia. E questa scena, visto quel che accade in tutto il mondo, sembra essere destinata a riproporsi ancora, e ancora e ancora.
Davanti al disastro, effetto del combinato composto dei danni a clima e ambiente, la ragionevolezza ci induce a prendere atto che, se l'umanità non avverte l'urgenza di una presa di coscienza collettiva, questi eventi si riproporranno ancora e, purtroppo, non come fatto raro, ma come tragica routine.

E' quindi necessario, in attesa che il mondo si ravveda, prevedere e prevenire, verbi che sembrano estranei al lessico della nostra politica che, sempre impegnata a uscire al meglio dalle ambasce e magari lucrarci anche in termini di consenso, sembra avere scelto il ruolo di spettatrice e non di protagonista.
Le evidenze, appunto perché tali, avrebbero dovuto, da tempo, indicare la strada che passa soprattutto per interventi sul territorio, agendo laddove gli esperti sanno che potrebbe arrivare il dramma.
Alzare oggi gli argini dei fiumi, sebbene intervento meritorio, è l'ammissione che quel che si doveva fare prima lo si fa invece solo oggi, a buoi già lontanissimi dalla stalla.
Se i corsi d'acqua tracimano e invadono campi coltivati, strade, zone industriali e soprattutto case non è, in assoluto, cosa che accade all'improvviso perché ciò avviene dove si è costruito scriteriatamente o non ha capito che la Natura non si prende in giro perché lancia precisi segnali.

Ma, se si consentirà all'uomo di considerare i fiumi discariche dove buttare tutto, se non si veglierà su quel che i corsi d'acqua portano con loro, con il rischio di creare ostacoli per i fiumi e i torrenti che andranno a cercare vie di fuga invadendo il territorio circostante, il problema si ripresenterà e noi torneremo a piangere morti, a guardare luoghi devastati e a imprecare.

Ma se questa si deve considerare prevenzione che non si fa (o che si annuncia a parole, per poi essere dimenticata), resta l'altro aspetto non meno drammatico, quello degli aiuti alle popolazioni e alle attività produttive colpite dai disastri che tardano ad arrivare, semmai arrivano, con ristori che sono assolutamente insufficienti (quando offensivi per la loro entità) non solo a ricostituire quel che è andato distrutto, ma anche a ridare una parvenza di normalità alla vita di tutti i giorni.
Lo scenario di appena poche ore fa del centro di Piacenza ripropongono immagini del passato, come se la precedente alluvione non avesse insegnato nulla.
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