Per battere l'inflazione la Fed alza i tassi, ma la recessione resta in agguato

- di: Redazione
 
Mentre l'inflazione falcidia le economie, tutti i più importanti soggetti decisionali si interrogano sui modi e i tempi per affrontare il problema e, soprattutto, su come evitare che le soluzioni possano, alla lunga, dimostrarsi peggiori del male. Alle analisi stanno facendo seguito le decisioni, che però scuotono le economie, troppo esposte ai fattori esteri, come appunto l'inarrestabile salita dei prezzi determinate da crisi internazionali di difficile soluzione.

Usa: via libera della Fed al maggiore rialzo dei tassi di interesse dal 1994

È solo un controsenso apparente, in un'epoca di economia globale, che ciascun Paese che non faccia parte di una organizzazione sovranazionale, come è l'Unione europea, e quindi, la Bce, cerchi le ''sue'' ricette, ritenendo che la conoscenza dello stato delle cose consenta interpretazioni diverse di uno stesso problema. Sul fatto che l'inflazione deve essere messa sotto controllo, in attesa che rallenti la sua corsa fisiologicamente, tutti sono d'accordo. È sul come che traspaiono visioni diverse, non necessariamente antitetiche o solo distanti, ma che mostrano un approccio non omogeneo.
Il caso certo più evidente è quello degli Stati Uniti, dove l'inflazione marcia a livelli che non si vedevano da 40 anni e che rimanda a periodi in cui l'incertezza era ben maggiore, motivata da crisi economiche che non si riusciva a domare.

Fatta salva la diversa struttura istituzionale (in America comanda Biden da solo, in Europa certe decisioni devono passare anche dal Consiglio, con la tagliola del diritto di veto) , negli Stati Uniti la risposta che si sta cercando di dare, oltre a quella pratica - con la Fed che ha alzato, per due volte, nel breve periodo, il tasso di interesse primario - è soprattutto politica. Ovvero, a intervenire con tutto il peso che deriva dalla sua carica è direttamente il presidente Joe Biden che ha infittito la parte della sua agenda dedicata alla lotta all'inflazione e quindi della parabola ascendente della dinamica dei prezzi, su cui ha staffilato le compagnie petrolifere americane accusandole di pensare solo al lucro e non alla gente..

Lui, Biden, ha incontrato il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, non per uno scambio di idee, ma per incalzarlo, chiedendogli in sostanza di non limitare il suo raggio d'azione e di non farsi condizionare dalle pressioni esterne. Quindi, per dirla in modo brutale, la Fed ha aumentato i tassi, come non faceva dal 1994, soprattutto sotto la spinta di considerazioni che sono generali, cercando di contemperare la delicatezza del momento (pur se l'economia americana tira leggermente il fiato, ma in una stagione comunque molto positiva) con la cautela che impone il rischio che agendo su tassi - e quindi aumentando il costo del denaro - si possa rallentare la macchina produttiva del Paese spingendola pericolosamente vicino alla recessione.
L'aumento di tre quarti di punto del tasso di interesse primario, deciso dalla Fed, va in questa direzione. Ha lanciato in segnale, ma dando ad esso un valore sostanziale, per confermare che la Federal Reserve farà la sua parte, a tutela della gente. Anche perché altrimenti non potrebbe fare, con le elezioni di medio termine che si avvicinano, con il rischio che la rabbia della gente, davanti al catastrofico aumento dei prezzi, mandi nelle mani del Partito Repubblicano un buon numero di parlamentari in più al Congresso, alterandone i delicati equilibri. L'inflazione intanto sembra destinata a scendere, passato dal 5,2% (in media) di quest'anno al 2,6% del 2023.

La decisione di alzare i tassi deriva anche dal mutare della situazione che la Fed stima per il futuro. Il Pil dovrebbe attestarsi in crescita dell'1,7 per cento, sia per quest'anno che per il 2023, quando la stima precedente era del 2,8 per il 2022.
Le borse, come sempre, danno precisi segnali su quello che ci si deve aspettare, e non parliamo solo degli investitori. Quindi i mercati asiatici hanno risentito della decisione della Fed, ma anche nella prospettiva che all'ultimo aumento di tre quarti di punto ne seguano altri, a brevissima scadenza, forse già in giugno, pur se di minore ampiezza.
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