Inchiesta Perugia: chiedere una commissione parlamentare non delegittima l'opera dei magistrati?

- di: Redazione
 
Sulla magistratura poggia uno dei tre poteri dello Stato, i pilastri della nostra democrazia. Magistrati sono tutti coloro che indossano una toga rappresentando la Giustizia e il loro compito è quello di vegliare sul principio che ciascuno deve essere tutelato, nel rispetto di quel che fa e non di quello che è, come si usa dire.
Poi c'è la politica, che, da sempre cerca di infilarsi nelle pieghe della Magistratura, con l'obiettivo di condizionarla, magari restringendo il perimetro di competenze e prerogative.
Ma ci sono delle decisioni/dichiarazioni che rischiano di mettere in un angolo l'autonomia della Magistratura, scavalcandola nel suo lavoro e ponendola sotto l'opprimente cupola della politica. E' questo il pericolo che può portarsi dietro la proposta dell'istituzione di una commissione d'inchiesta parlamentare.
Una proposta di cui s'è fatto portavoce anche il ministro della Giustizia, Carlo Nordio (che è stato magistrato) che ha sollecitato l'istituzione della commissione per capire cosa si sia inceppato nell'attività investigativa della Direzione nazionale antimafia e che ha generato l'indagine della Procura di Perugia (competente territorialmente).

Inchiesta Perugia: chiedere una commissione parlamentare non delegittima l'opera dei magistrati?

E lo ha fatto pronunciando parole inequivocabili: ''Abbiamo raggiunto un punto di non ritorno. A questo punto è necessaria una commissione d'inchiesta''.
Istituire una commissione d'inchiesta è nelle competenze del Parlamento, ma farlo su un fatto - o una serie ripetuta di fatti, come sembra essere il caso degli accessi partiti dalla Dna verso banche dati contenti i movimenti di privati cittadini, qualche che sia il loro ruolo nella società - su cui un ufficio di Procura sta indagando è, al di là di come la si voglia intendere, un elemento disturbante nei confronti del ruolo dei pm.
Quasi che quello che sin qui è stato fatto debba essere guardato sotto due distinte lenti d'ingrandimento: quella specificamente giudiziaria, mirata ad accertare se, come, da chi o per conto di chi le leggi siano state violate, e l'altra, politica, che ha, per definizione, obiettivi diversi.

E anche se la commissione dovesse essere decisa, costituita e quindi messa in condizione di operare, i tempi, presumibilmente lunghi, rischiano di incrociarsi con quelli della magistratura, che deve agire nel rispetto delle regole e quindi non sentirsi sul collo l'alito di questo o quel capataz politico di turno che spara contro gli avversari, dimenticando che un conto è l'agone politico, un altro è quello in cui si muove la Giustizia.
Se ha un senso un organo inquirente - per come dovrebbe essere la commissione d'inchiesta -, lo si deve alla circostanza che va a svolgere i suoi accertamenti su una vicenda che il tempo ha cristallizzato, non su una che muove appena i primi passi e di cui, al momento, non si ha contezza delle persone coinvolte.

Coinvolte attivamente (quelli che facevano le incursioni nelle banche dati, chi impartiva le disposizioni su chi ne doveva essere oggetto, quelli che, a rigore di logica, ne avevano percezione) e anche passivamente (gli accessi sono stati migliaia, cosa che amplia la platea delle possibile parti offese, in un eventuale, ma abbastanza probabile strascico giudiziario).
Il potere condizionante della politica lo conosce benissimo chi la pratica, ma ne subiscono i riflessi anche coloro che, per definizione, dovrebbero esserne immuni. Magistrati in testa.
Lasciamoli lavorare e, semmai il parlamento dovesse determinarsi a istituire una commissione d'inchiesta, lo faccia nel rispetto della funzione della Magistratura che, da un organismo inequivocabilmente mosso da ideologia e opportunismi, sarebbe condizionato.
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