Il Governo che mette sul mercato Rai Way è un brutto segnale per il Paese

- di: Redazione
 
Da oggi, grazie al Dpcm firmato dal presidente del Consiglio, Mario Draghi, la Rai potrà ridefinire la propria presenza in Rai Way (la società che controlla le torri televisive) di cui oggi detiene il 65% delle azioni e che potrà, quindi, scendere sino al 51%. Un ''libera tutti'' che potrebbe, di qui a breve, determinare la nascita di un polo di settore, che vedrebbe coinvolte F21 e Mediaset.

Grazie al Dpcm firmato da Mario Draghi, la Rai potrà ridefinire la propria presenza in Rai Way

La notizia ha ovviamente spinto in alto le azioni di Rai Way (+7,7%, a 5,15 euro), aprendo però una serie di interrogativi su cosa, realisticamente, la decisione del governo possa determinare. A cominciare dal fatto che in questo modo la Rai perderà il controllo delle sue torri, cosa non da poco, anche dal punto di vista dell'immagine dell'azienda, che vive peraltro in momento finanziariamente delicato. Al punto che l'Usigrai (il sindacato dei giornalisti della Rai) parla, senza tanti giri di parole, di un escamotage per consentire all'azienda di ripianare il bilancio.

E' utile, a questo punto, riferire un altro passaggio della risposta dell'Usigrai alla notizia, laddove il sindacato dei giornalisti chiede al governo di ''spiegare le ragioni di questa scelta. Prima di mettere in mani private un patrimonio pubblico di questa portata deve dire qual è il progetto strategico per il sistema paese rispetto al tema delle torri di telecomunicazioni e trasmissione''.

Il nodo della questione è molto complicato da sciogliere perché restano irrisolti molti problemi (legati soprattutto all'operatività di una azienda che, per essere un servizio pubblico, ha ingigantito le proprie strutture confidando nel suo profilo pubblico) ai quali il Dpcm in questione mette una pezza, ma non più di tanto.
La Rai - ma non è questa la sede per parlarne - non è un'azienda in salute, ma c'è da chiedersi se queste incertezze giustifichino la cessione di una società fondamentale per l'assetto tecnologico e che, passando di mano, perderebbe la funzione di garanzia che svolge oggi in virtù del suo profilo pubblico in un settore tecnologico importantissimo.

Probabilmente, nel prossimo futuro, ci sarà occasione di chiedere a Mario Draghi cosa lo abbia indotto ad autorizzare la ''privatizzazione'' sostanziale di Rai Way e come questo rientri nel suo concetto di prevalenza dell'interesse generale rispetto ad esigenze ''di cassa'', quali possono essere le difficoltà nelle quali è costretto a muoversi, quotidianamente, l'ad della Rai, Carlo Fuortes. E sarebbe anche interessante sapere se il presidente del Consiglio ritiene la Rai, dopo la firma del Dpcm, più forte di prima, soprattutto pensando alle sfide che il servizio pubblico televisivo deve affrontare non solo in termini economici, finanziari e tecnologici, ma anche di qualità dell'informazione, che è poi il nocciolo dell'azienda.

La partita della Rai si gioca in un campo particolare
, dove i player sono tanti e con profili diversi, come diversi sono i rispettivi interessi. Ma il suo caso può essere paradigmatico di una propensione del governo a tappare falle o buchi facendo ricorso allo strumento più facile: cedere pezzi del patrimonio pubblico, quale appunto l'azienda di viale Mazzini, che forse non dà le risposte che ci si attende da essa, che necessita di un piano industriale coraggioso, che magari si renda conto che per stare sul mercato deve ripensare a certe sue prerogative, restando comunque un bene comune.

I problemi di cassa si risolvono vendendo solo nei negozi, non quando si tratta di strutture che hanno fatto la storia del Paese, educandolo dopo la fine della Guerra. Di questo occorrerebbe tenere conto, magari passando per una cura dimagrante delle strutture (amministrative, dell'intrattenimento, giornalistiche), anche se questo potrebbe intaccare la qualità dell'offerta. Ma vendere per incassare è il modo peggiore per mandare avanti un Paese.
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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