Giustizia: non si può più ignorare il problema della delinquenza minorile

- di: Redazione
 
Non passa giorno senza che le cronache riportino di episodi di violenza in cui siano coinvolti minorenni, spesso come protagonisti ''attivi'' e non solo di vittime.
Si potrebbe dire che, ormai, i giovanissimi che delinquono passano, con disinvoltura, dagli episodi di piccola criminalità (come i furtarelli o le zuffe, magari anche davanti scuola o alla fermata del bus) a fatti più ''strutturati'', come lo spaccio di sostanze stupefacenti o l'organizzazione di raid violenti, con fini illegali o anche solo per dare corpo alle loro vendette. Come pare accaduto anche ieri, in occasione di manifestazioni per ricordare il 25 Aprile.

Giustizia: non si può più ignorare il problema della delinquenza minorile

Da sempre nel nostro Paese, pur se sempre al centro di attenzione, le vicende che vedono protagonisti i ragazzi vergono quasi ridimensionate nella loro portata sociale, riducendo dopo il tutto a piccole storie, che restano tali anche se i protagonisti si rendono responsabili di comportamenti che, se sono fossero maggiorenni, comporterebbero per loro pesanti condanne detentive.
La scriminante dell'età, sotto questo punto di vista, è ancora più determinante, considerato che nell'ordinamento italiano chi non ha compiuto ancora i quattordici anni non è imputabile. Quindi anche l'azione più violenta che gli si può attribuire viene ''neutralizzata'' dal punto di vista giudiziario, rimandando ai servizi sociali o a strutture similari il compito, spesso impossibile, di ricondurre i comportamenti del giovanissimo in un alveo di legalità, che poi sarebbe la normalità.

Gli ordinamenti di altri Paesi dove il diritto vive di certezze su questo punto hanno ottiche diverse. Con l'esempio clamoroso degli Stati Uniti dove a essere determinante è la qualità dei comportamenti giudicati, che scavalcano l'ostacolo della minore età. Quindi, anche un ragazzino di tredici anni, quando addirittura non un bambino, può essere giudicato alla stregua di un adulto, se l'atto che ha compiuto ha avuto connotazioni particolarmente efferate e, pure se questo non dovrebbe incidere più di tanto, ha avuto vasta eco nell'opinione pubblica.
La storia giudiziaria americana è piena di processi che hanno, come imputati, minori con meno di quattordici anni, soglia di punibilità in Italia, che si concludono con dure condanne. Come il minorenne che, qualche tempo fa, si è macchiato di una strage nella scuola che frequentava e che non è scampato alla condanna all'ergastolo, con il giudice che l'ha accompagnata con la prescrizione che mai l'imputato potrà presentare istanza di libertà condizionale. Insomma, ragazzino certamente, ma non per questo meno colpevole o meno ''condannabile''.

Da noi, nell'arco degli ultimi decenni, la qualità dei reati di cui si macchiano i ragazzini si è elevata, passando da meri ruoli di fiancheggiatori a piccoli protagonisti. Magari, come accaduto e succede quotidianamente, quando si formano piccoli gruppi che, sotto la guida del singolo o per decisioni collegiali, sciamano per le strade per colpire (soprattutto con rapine e furti) nella consapevolezza che, se presi, tutto finirà con un passaggio per il carcere minorile e, se non ancora quattordicenni, per qualche amorevole scappellotto.

Monta, però, l'incredulità in molti che cominciano a pensare che gli strumenti in mano alla giustizia debbano valere anche nei confronti di chi, minorenne, approfitta della sua condizione per perpetrare ripetute violazioni di legge.
Lo Stato non può sottrarsi al mandato di vegliare sull'incolumità dei suoi cittadini anche se ad attentare ad essa sono ragazzini che, vivendo quotidianamente sotto la pressione psicologica di esempi deleteri, si determinano ad agire nell'illegalità per acquisire obiettivi materiali, la cui importanza è ingigantita dai mezzi di comunicazione.
Non deve comunque incidere, al di là dell'orrore che esse giustamente provocano, le vicende del carcere minorile Beccaria e della batteria di guardie penitenziarie che ritenevano di essere non custodi, ma carnefici dei giovani detenuti.

C'è già chi ha urlato, per fortuna inascoltato, che è arrivato il momento di chiudere le carceri minorili, visto che non servono affatto come deterrente e che, al loro interno, si rischia di acuire e fare esplodere la predisposizione a delinquere. Non è certo questa la ricetta, come non sarebbe quella di processare come adulti tutti i ragazzini che si macchiano di gravi reati.
Eppure lo Stato deve rispondere, attrezzandosi contro il montare di questo fenomeno. Magari ampliando la possibilità di revocare la potestà genitoriale laddove si accerti che a fare germogliare il seme dell'illegalità è proprio l'ambiente familiare. Quello che autorizza genitori indegni di questo nome di mandare in giro bambini a sfilare portafogli o a rubare cellulari.
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