Giustizia: il decreto carceri? Un cerotto messo a tamponare una grave ferita

- di: Redazione
 
In attesa che la Camera si pronunci (con un sì che appare già scontato) e che lo faccia entro il 2 settembre, il governo, tra tappi di champagne che volano e bicchieri che tintinnano, si celebra perché ha approvato - a maggioranza - un decreto che ha per oggetto interventi che dovrebbero contribuire a risolvere lo stato drammatico delle nostre carceri. Un decreto che, stante la siccità delle nostre casse, è giocoforza un cerotto con il quale si cerca di tamponare il sangue che sgorga copioso da una ferita.
Eppure, nonostante le poche cose (nessuna delle quali oggettivamente in grado di dare risposta alla forte richiesta di umanità che si leva dal mondo carcerario, anche se su questo, di qui a poco, cercheremo di fare una riflessione critica) che il decreto prevede, i partiti di governo lo hanno innalzato all'altare dei cieli della grande politica.

Giustizia: il decreto carceri? Un cerotto messo a tamponare una grave ferita

In cosa consiste il decreto lo diremo subito, ma non possiamo esimerci dal rilevare che in aula, sugli scranni del governo, mancava proprio il Guardasigilli che, con la sola sua presenza, avrebbe sottolineato come la decisione della Camera stava a cuore all'esecutivo. Siamo sicuri che il ministro Nordio avrà avuto i suoi buoni motivi per essere altrove, ma non è che questo abbia deposto bene per l'immagine di un governo che vive una stagione di evidente conflittualità interna, con la corsa di ogni singolo partito, di ogni singolo componente, a piantare una bandierina su provvedimenti che gli stanno a cuore. Ed evidentemente al Guardasigilli questo decreto non è che ce l'avesse in cima ai suoi pensieri.

Ma, tornando al contenuto del provvedimento, per cominciare a risolvere il problema, il decreto prevede che, da qui a due anni, l'organico della Polizia penitenziaria sia rafforzato con l'assunzione di mille nuovi elementi, comunque ancora pochi a turare le falle nel dispositivo di controllo delle carceri, che ha l'immagine più esemplificativa nel fatto che gli agenti in turno siano insufficienti a controllare fisicamente il reclusorio e i suoi ospiti.

Sarà anche ampliato il numero di dirigenti penitenziari. Nel testo c'è anche l'emendamento, fortemente sostenuto da Forza Italia, che consente un maggiore ricorso, da parte del giudice di sorveglianza, alla misura alternativa cui i tossicodipendenti possono accedere per scontare la pena detentiva in comunità di recupero. Poi il decreto alza il numero delle telefonate concesse ai detenuti, nella speranza che il conforto di voci amiche, sia pure via filo, renda loro più accettabile il sovraffollamento nelle celle (in cui in comune ci sono anche i servizi igienici, con i problemi che possono derivare da una convivenza forzata). E quando si parla di sovraffollamento non si esagera dal momento che, stando alle ultime statistiche nelle carceri italiane attualmente c'è quasi un terzo in più di detenuti rispetto al massimo previsto.
Misure di minimo impatto (ad eccezione forse delle nuove mille assunzioni per la Polizia penitenziaria) e che però sono celebrate come se, da domani, le celle dovessero resort sulla spiaggia e i detenuti brigheranno per restare in galera piuttosto che uscire ad affrontare le brutture della libertà.

Ma, vista la materia, è il caso di cercare di affrontarla con i giusti toni che la sua drammaticità impone.
A lanciare pessimismo in quantità industriali su questo delicato dossier non è solo il devastante conteggio dei suicidi di detenuti (già una sessantina dall'inizio 2024, ma il contatore non si ferma), ma anche tra il personale penitenziario, quanto la consapevolezza che questa situazione non troverà una soluzione dignitosa nemmeno tra molti anni.
Da dove deriva questo pessimismo? Semplicemente dall'evidenza che lo stato delle nostre carceri (tra inadeguatezza, fatiscenza, permeabilità del sistema di controllo) è troppo grave, rasentando l'irrisolvibilità. Una cosa che un Paese che si picca d'essere la culla del diritto non si può consentire, considerano il problema alla stregua di una patologia endemica.
Questo Governo, che pure qualcosa sta tentando di fare, deve cercare, con ogni sua risorsa, di superare la fase dell'emergenza che rischia di essere lunga perché, a fronte di un numero di detenuti molto maggiore rispetto a quello che le carceri prevedono, le statistiche parlando di un lievitare di reati legati microcriminalità per la quale, prima o poi, si dovrà pure cominciare a pensare senza quell'occhio benevolo che oggi l'accompagna.
Una società civile chiede certezze, soprattutto in materia di giustizia.

E nell'abbecedario della sicurezza che la gente pretende ci deve essere la certezza della pena, senza che chi si è macchiato di delitti gravissimi dopo una quindicina d'anni ottiene tutti i benefici di una legislazione premiale, pensata quando c'era, a giusta ragione, l'auspicio che chi delinque possa essere sempre recuperato.
Così purtroppo non è perché, restando in materia di statistiche, la recidività di un certo tipo di reati (quelli contro il patrimonio, quelli legati agli stupefacenti) si alimenta da pene che, nel presupposto di non essere brutali, sono un'autostrada verso la reiterazione del reato, non essendo certo un deterrente.
Per questo fanno bene esponenti della maggioranza a dirsi contrari a decreti che cerchino di risolvere il sovraffollamento delle carcere con un ''liberi tutti'' per reati di lieve entità. Potrebbero, questi provvedimenti premiali, dimostrarsi un modo per rimettere nel circuito criminale gente che non vede l'ora di tornarci.
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