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Giornalismo tra verità e coscienza: “Buono per incartare il pesce”

- di: Bruno Legni
 
Giornalismo tra verità e coscienza: “Buono per incartare il pesce”

Un romanzo di Willy Labor (foto) che racconta la vita di redazione con ironia, ritmo e un fondo di verità che solo chi ha vissuto davvero il mestiere può restituire.

Un titolo ironico e provocatorio, “Buono per incartare il pesce”, per un romanzo che porta dentro il cuore pulsante di un mestiere tanto affascinante quanto spietato: il giornalismo. L’autore, Willy Labor, giornalista economico e redattore parlamentare di lungo corso, oggi responsabile della comunicazione di Unioncamere, firma con Castelvecchi il suo esordio narrativo, una storia che intreccia passione professionale, etica e disincanto, raccontando da dentro le tensioni, le contraddizioni e le piccole epifanie quotidiane di chi vive di notizie.

Protagonista è Gianni Crevatin, cronista triestino del “Nuovo”, scapolo e prossimo ai quarant’anni. Un giornalista come tanti, diviso tra la curiosità che lo muove e i dubbi che lo tormentano. Quando uno scoop su un politico locale – ottenuto senza troppi scrupoli – gli cambia la carriera e la vita, si trova costretto a fare i conti con ciò che ogni cronista teme di più: le conseguenze inattese della verità. È in questo spazio sottile, tra la brama di raccontare e il rischio di ferire, che Labor costruisce la sua trama morale, senza indulgere né giudicare, ma mostrando la complessità umana del mestiere.

Tra le pagine si avverte l’esperienza diretta dell’autore, la conoscenza dei tic e dei riti di redazione, le esitazioni davanti a una notizia “che buca”, ma anche la gioia quasi infantile dello scoop, quella sensazione irripetibile di avere il mondo tra le dita. Trieste fa da sfondo realistico e malinconico, con le sue redazioni stanche, le sigarette alle macchinette e i bar che profumano di caffè e pioggia. Poi, un viaggio in Vietnam e l’incontro con una giovane donna amplificano i dilemmi del protagonista, spingendolo verso un percorso interiore che somiglia a una resa dei conti con se stesso.

Con uno stile limpido, asciutto e punteggiato di ironia, Labor alterna ritmo narrativo e introspezione, costruendo un romanzo che si legge d’un fiato e lascia dietro di sé una domanda mai banale: dove finisce il diritto di cronaca e dove comincia la responsabilità personale?

In fondo, “Buono per incartare il pesce” non è solo il titolo di un libro, ma una metafora amara e lucidissima: quella di un mestiere che vive nel presente, brucia in fretta e si rinnova ogni giorno. E che, nonostante tutto, continua a esercitare il suo incanto su chi lo fa e su chi ancora sogna di farlo.

Willy Labor, “Buono per incartare il pesce”, Castelvecchi, 105 pagine, 16 euro.

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