Giappone condannato per le schiave sessuali coreane dei bordelli militari
- di: Emanuela M. Muratov
Con una decisione che non aveva precedenti, il tribunale distrettuale centrale di Seul ha condannato il Giappone a risarcire dodici donne che, durante la seconda guerra mondiale, erano state rese schiave nei bordelli dell'esercito imperiale che occupava la penisola. Secondo la sentenza, il Giappone dovrà risarcire ciascuna vittima o le loro famiglie con 100 milioni di won (l'equivalente di 74 mila euro).
Secondo l'agenzia sudcoreana Yonhap, si tratta della prima volta che un tribunale civile viene investito di una causa intentata contro il Giappone per la condizione di sottomissione in cui furono costrette quelle che erano definite "donne di conforto", ma che, in realtà, non erano altro che schiave sessuali, messe a "disposizione" dei militari di Tokyo.
Nella sua sentenza, il tribunale ha accusato il Giappone imperiale di essere responsabile di un sistema di "sfruttamento sessuale prolungato che rappresenta un atto illegale contro l'umanità".
I rapporti tra Corea del Sud e Giappone, alleati chiave degli Stati Uniti nella regione, sono tesi da decenni, come conseguenza delle violenze di cui i giapponesi si macchiarono nel periodo in cui la penisola era una colonia di Tokyo
Alla base delle tensioni, anche le vecchie controversie ereditate dal periodo in cui (dal 1910 al 1945) la penisola coreana era una colonia giapponese.
La condizione di "donne di conforto", secondo il giudizio quasi unanime degli storici, coinvolse, loro malgrado, circa 200.000 donne - principalmente dalla Corea, ma anche da altri paesi asiatici, compresa la Cina - costrette a prostituirsi nei bordelli militari giapponesi. Il procedimento sul quale si è oggi pronunciato il tribunale distrettuale centrale di Seul era stato avviato, otto anni fa, da dodici donne, solo cinque delle quali ancora in vita oggi.
Tokyo si è sempre rifiutata di comparire nel giudizio, sostenendo che la disputa era priva d'efficacia in base al trattato del 1965 che comportava il pagamento di riparazioni che, sostiene Tokyo, hanno contribuito alla straordinaria ascesa economica della Corea del Sud. L'accordo prevedeva che tutti i reclami in essere tra gli Stati e i loro cittadini fossero da considerare "completamente e definitivamente risolti".
Un assunto che il tribunale di Seul ha ritenuto insussistente perché l'accordo non riguardava il diritto delle donne a chiedere un risarcimento al Giappone.
Uno degli avvocati che hanno assistito i querelanti, Kim Kang-won, ha ricordato che l'accordo del 1965 non contemplava la dolorosa vicenda delle "donne di conforto" perché essa emerse, nella sua drammaticità, solo negli anni '90, con manifestarsi anche in Corea del Sud dei movimenti femministi.
Il governo giapponese, da parte sua, nega una responsabilità diretta nella vicenda, sostenendo che le donne erano "reclutate" da civili che sfruttavano economicamente i bordelli destinati ai militari.
L'aspetto legale della vicenda delle "donne di conforto" è stato sempre molto complesso, in cui nei decenni si sono mischiati più elementi, il più importante dei quali è stato forse il rifiuto del Giappone di assumersi la responsabilità legale dell'accaduto. Anche se Tokyo, nel 2015, sulla base di un altro accorto "definitivo e irreversibile", ha espresso "scuse sincere", sostenute con il pagamento di un miliardo di yen (sette milioni di euro) a una fondazione che aiuta le ormai poche ex prostitute sopravvissute .
Ma questo accordo, concluso dal governo conservatore dell'ex presidente Park Geun-Hye, è stato sempre fortemente contestato dall'opinione pubblica sudcoreana, che non ha mai ritenuto sufficiente le scuse formali del Giappone.
L'accordo del 2015, una volta caduto il governo di Park Geun-Hye, è stato denunciato anche con la motivazione che le vittime non fossero state associate alla sua negoziazione.
Lo stesso tribunale del distretto centrale di Seul dovrebbe pronunciarsi la prossima settimana su un altro caso simile che coinvolge circa venti querelanti.