Paolo Gentiloni, ex presidente del Consiglio e attuale commissario europeo all’Economia, lancia un monito che ha il suono dell’allerta: gli Stati Uniti sono esposti al rischio di una nuova crisi finanziaria, paragonabile a quella che travolse i mercati globali nel 2008. In un’intervista rilasciata a La Stampa, Gentiloni mette in guardia anche la premier Giorgia Meloni, oggi stretta – secondo la sua analisi – in un pericoloso esercizio di equilibrismo geopolitico: “Penso che Meloni sia di fronte a un bivio. La Casa Bianca, per decenni architetto dell'ordine mondiale, ora è fonte di caos”.
Gentiloni: “Gli Usa rischiano una crisi finanziaria. L’Europa si prepari a un nuovo ordine”
Un giudizio netto, quello dell’ex premier, che accusa la politica americana di aver smarrito la bussola dell’ordine multilaterale per divenire, sotto la regia trumpiana, un fattore di instabilità.
Il riferimento a Meloni tocca il cuore della sua attuale strategia politica: rimanere fedele all’alleanza euro-atlantica, ma senza compromettere la sovranità nazionale, specie in materia economica. “Per la premier – aggiunge Gentiloni – non è facile stare contemporaneamente dalla parte di Trump, difendere l’interesse nazionale sui dazi e collaborare con l’Unione. Ha aperto al più limpido sostenitore dell’autonomia strategica dell’Europa: è un ottimo segno”. Una sponda dunque viene riconosciuta nel gesto di apertura di Meloni a una maggiore integrazione europea, ma l’avvertimento di fondo resta chiaro: i prossimi mesi saranno decisivi per l’equilibrio stesso del continente.
I segnali di allarme dai mercati americani
Il cuore della riflessione di Gentiloni si concentra però sul sistema finanziario globale, con un’attenzione particolare rivolta agli Stati Uniti. Secondo il commissario europeo, l’economia americana sta manifestando segnali preoccupanti che potrebbero preludere a una nuova crisi sistemica. “Con la guerra dei dazi – spiega – c'è il rischio di una crisi finanziaria innescata come nel 2008 dai mercati americani. È un rischio che non si può escludere: non lo dico io, è la copertina dell’ultimo Economist”.
Il riferimento è specifico al comportamento anomalo dei mercati l’aprile scorso, quando il 9 del mese Donald Trump annunciò una “pausa” sull’inasprimento dei dazi. In quella giornata, racconta Gentiloni, “mentre le Borse crollavano, non accadeva quel che normalmente sarebbe dovuto accadere, ovvero la corsa ai titoli di Stato americani”. Un segnale inquietante, che denuncia una perdita di fiducia strutturale nel sistema di garanzie rappresentato, fino a ieri, dai Treasury Bonds statunitensi. “Se a questo aggiungiamo il dollaro, sono i sintomi di una chiarita incrinatura della fiducia”, sottolinea ancora Gentiloni.
Un’opportunità per l’euro e per l’Europa
In un contesto così instabile, Gentiloni individua tuttavia uno spiraglio positivo: “C’è un nuovo spazio per noi europei, ovvero per la nostra moneta, la seconda di riserva del mondo”. L’euro, secondo l’ex premier, potrebbe assumere un ruolo più rilevante nello scacchiere finanziario internazionale, proprio nel momento in cui il dollaro perde il suo carattere di “bene rifugio”. Si tratta, in altri termini, di una sfida e insieme di un’opportunità per l’Unione Europea: costruire un vero polo strategico autonomo, dotato di strumenti comuni di difesa e di politica estera.
La necessità di una difesa comune è un tema che Gentiloni rilancia con forza: “Ci piaccia o no, l'ordine mondiale che abbiamo conosciuto negli ultimi ottant'anni, quello che ci permetteva di ignorare il problema, sta gradualmente svanendo. Quindi chi chiede all'Europa di avere più voce in politica estera deve assumere che va costruita una difesa comune”. Il riferimento è chiaramente diretto ai partiti sovranisti che chiedono maggiore autonomia nazionale, ma si oppongono a un esercito europeo. Per Gentiloni, la coerenza impone oggi una svolta: o si accetta la costruzione di un’Europa con potere politico, oppure si resta marginali nello scacchiere globale.
Referendum e Jobs Act: il doppio no e il sì alla cittadinanza
Infine, l’ex premier si esprime sul pacchetto referendario che sarà oggetto di voto l’8 e il 9 giugno. Una posizione articolata, la sua, che affonda le radici nella coerenza con le scelte passate. “Andrò a votare, anche per il ruolo istituzionale che ho ricoperto. Sul Jobs Act, per coerenza, voterò certamente no”, annuncia Gentiloni. Il riferimento è al quesito che mira a smontare uno dei punti qualificanti del programma renziano di riforma del lavoro, approvato proprio durante il governo in cui Gentiloni fu figura centrale.
Diversa la posizione su altri quesiti, in particolare quello relativo alla cittadinanza: “Su questo invece voterò sì”, conferma. Un gesto simbolico che intende dare una spinta a quella parte della riforma che mira a riconoscere il diritto alla cittadinanza italiana ai figli di stranieri nati e cresciuti nel nostro Paese. “Dovremmo occuparci del potere d’acquisto delle famiglie e degli stipendi bassi – osserva infine Gentiloni – piuttosto che promuovere un referendum che sembra una resa dei conti nel nostro album di famiglia”.
Un equilibrio precario tra passato e futuro
Le parole di Gentiloni fotografano un’Europa sospesa tra due modelli di futuro: da un lato il ritorno al protezionismo e al caos globale, dall’altro la possibilità di affermarsi come attore strategico autonomo, dotato di una visione condivisa. Allo stesso tempo, in Italia, il voto referendario si profila come un banco di prova interno alla sinistra, tra revisioni critiche e fedeltà riformista. Per l’ex premier, l’unico modo per non perdersi nei tornanti della storia è tenere lo sguardo fisso sulla coerenza.