FS: l'inatteso no di Castelli alle nomine apre una crisi

- di: Redazione
 
La coerenza sembra non essere più di questo mondo, ma siamo sempre pronti a fare ammenda nel caso in cui qualcuno si dovesse comportare seguendo un medesimo schema, sia che si tratti di suoi comportamenti, che di altri. La premessa è forse necessaria se si cerca di capire cosa stia accadendo in seno a Ferrovie dello Stato dove il presidente, Gianluigi Castelli, con il suo voto contrario al pacchetto di nomine proposte dell’ad. Gianfranco Battisti, ha di fatto e sorprendentemente aperto una crisi che oggi è solo di rapporti ed equilibri, ma domani potrebbe evolvere in chissà cosa.

La storia può essere riassunta in poche righe. In occasione della riunione del Consiglio d’amministrazione di Ferrovie dello Stato, Battisti - dopo un ok della commissione che presiede alle nomine - ha messo sul tavolo i nomi di coloro che, a suo avviso (ma, soprattutto, ad avviso del Ministero dell’Economia e delle Finanze, azionista di riferimento), rappresentavano le scelte migliori per le controllate Trenitalia e Rfi.

Scelte non fatte a casaccio, ma conseguenza di una serie di valutazioni che, come dogma, dobbiamo pensare essere conseguenza di certezze su preparazione e adesione al progetto generale. Quindi, a meno di pensare che in Ferrovie dello Stato la destra non sappia mai, per davvero, cosa faccia la sinistra, le dieci nomine sul tavolo dovevano essere votate ed accettate, anche perché lo stesso Castelli è espressione del Mef, di cui, quindi, a rigore di logica, condivide le visioni, che si traducono in atti come appunto la redazione dell’elenco dei “promuovendi”. Così non è stato e le dieci nomine sono state bocciate, con una risicata maggioranza in CdA determinata proprio dal voto del presidente Castelli.

Intendiamoci: se Castelli aveva dubbi sulla qualità degli indicati o sui criteri della loro individuazione, era e resta titolato ad esprimere il proprio dissenso. Ma deve anche prendere atto che, in questo modo, non ha sconfessato l’operato di Battisti, quanto ha segnato una discontinuità nel rapporto formale con Mef, che lo ha messo laddove oggi siede. E la determinazione di Castelli a bloccare le nomine cozza anche, se proprio si vuole essere cavillosi, anche sul placet che su di esse veniva dal Ministero dei Trasporti, che fa capo a Paola De Micheli.

Quanto è accaduto, quindi, lascia aperte più interpretazioni, la più scontata delle quali è che, nel mettersi per traverso alla lista proposta da Battisti, Castelli è stato guidato da logiche politiche più che di gestione e quindi per comprendere gli sviluppi delle sue mosse bisogna guardare più al governo ed alle sue traversie che al bene supremo dell’azienda. Sulla quale Castelli ha poco da dire, visto che l’operato di Gianfranco Battisti ha raccolto consensi quasi unanimi e che l’ad si muove sempre in perfetta sintonia con il Mef.

Comunque, il no di Castelli alle nomine lascia pochi spazi perché o il presidente presenta una sua lista (di fatto schierandosi contro il Mef, che lo ha materialmente messo sulla poltrona) o chiede una soluzione politica, facendo capire di guardare già oltre al governo Conte.
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