Mercati sotto stress, banche centrali in bilico e hedge fund in modalità ‘pronti a tutto’.
Mercati sull’orlo: ansia da calendario
L’estate 2025 è cominciata sotto una cappa di tensione finanziaria. Gli investitori globali osservano un calendario pieno di scadenze ad alto rischio: dai dazi doganali USA UE alla ripresa dei colloqui commerciali tra Stati Uniti e Cina, passando per l’attesa revisione delle politiche monetarie. Il mercato sta entrando in una fase di attesa iper-reattiva, in cui basta una dichiarazione fuori posto per innescare scossoni.
Gli hedge fund, intanto, stanno modificando in profondità le proprie posizioni. “C’è troppo rischio e troppo poco rendimento in giro”, ha dichiarato Insight Investment, sintetizzando una sensazione diffusa tra i grandi investitori: meglio ridurre l’esposizione e aspettare tempi più leggibili.
Il dollaro cede, salgono oro e Bund
Il dollaro ha perso circa il 10% da inizio anno: è la sua peggior performance semestrale dal 1973. A pesare non sono solo i fondamentali macroeconomici, ma anche la crescente percezione di instabilità politica negli Stati Uniti. Due terzi dei manager delle riserve valutarie mondiali ritengono a rischio l’indipendenza della Federal Reserve. E il 29% ha già cominciato a tagliare l’esposizione in asset USA, virando su euro, oro e criptovalute.
A beneficiare di questa fuga dal dollaro è l’oro, salito del 25% nel primo semestre, e i Bund tedeschi, tornati rifugio privilegiato per la liquidità europea. La caccia alla sicurezza è tornata di moda.
Gli investitori fuggono dagli Usa
A metà giugno è emerso un dato inquietante: dal mese di aprile si registra il più alto livello di disinvestimento da titoli USA degli ultimi cinque anni. Il 42% degli investitori professionali teme una recessione americana entro l’autunno, mentre il 61% prevede un ulteriore indebolimento del dollaro.
Nel frattempo, i mercati europei hanno raccolto 23 miliardi di euro in obbligazioni high yield solo a giugno, un record assoluto per l’Eurozona. I capitali internazionali stanno abbandonando il rischio americano per tornare su titoli europei più “gestibili”.
Gli hedge fund cambiano rotta
Anche i grandi fondi speculativi sono entrati in modalità difensiva. I portafogli stanno virando su asset meno esposti: meno azioni, più bond governativi, più oro e strumenti corporate a breve scadenza. L’obiettivo? Protezione, non rendimento.
Come spiega Insight Investment, “non ricordo una fase in cui il rischio percepito fosse così alto e il rendimento atteso così basso”. La mancanza di fiducia sta spingendo i gestori a rivalutare completamente l’asset allocation.
I rendimenti alzano la voce
Negli ultimi mesi, i rendimenti dei titoli pubblici sono saliti anche in assenza di spinte inflazionistiche reali. Il motivo? Il mercato pretende un premio di rischio più alto per detenere titoli USA, a causa dell’instabilità politica e fiscale.
Il mondo sta cominciando a prezzare un rischio “Stati Uniti”: un fenomeno nuovo. I rendimenti a 10 anni sui Treasury hanno superato il 4%, e l’aumento appare guidato dalla sfiducia più che da aspettative di crescita.
La politica mina la fiducia
Non è solo l’America a preoccupare. Il Regno Unito, con il nuovo governo guidato da Keir Starmer, affronta un’eredità fiscale pesante. Il rendimento dei gilt britannici è salito al 4,5%, mentre quello del Bund tedesco è stabile al 2,5%.
In Francia, l’attenzione è puntata sul 14 luglio, giorno della discussione del bilancio. Le tensioni tra governo e opposizione potrebbero riflettersi sui titoli di Stato, in un clima profondamente instabile.
Le banche centrali osservano e attendono
In Australia, la Reserve Bank si appresta al terzo taglio dei tassi da inizio anno. In Asia, si moltiplicano le voci su possibili interventi straordinari per proteggere i mercati dal rischio contagio.
La Federal Reserve e la Banca Centrale Europea restano prudenti. Entrambe hanno rimandato decisioni sui tassi, in attesa di nuovi dati. Ma il nervosismo dei mercati cresce.
Il nuovo lessico della finanza globale
Dietro numeri e percentuali si cela un cambio di paradigma. I grandi operatori stanno ridefinendo le coordinate della fiducia: non bastano più un rating AAA o istituzioni formali. Conta di più la stabilità politica e l’indipendenza reale delle banche centrali.
Le variabili più sorvegliate? Solidità fiscale, quadro politico post-elettorale negli USA, governabilità in Europa, tensioni tariffarie globali. Tutto si tiene.
Il verdetto degli operatori
La sintesi è netta: i big della finanza globale non stanno aspettando il crollo, ma lo temono. E si stanno preparando. Chi può, rafforza la liquidità. Chi è esposto, cerca strumenti di copertura. Chi ha risorse, si rifugia nel sicuro.
Per ora, lo scenario è quello di una grande attesa inquieta. Un gioco di specchi in cui basta poco – una dichiarazione, un default, una scelta elettorale – per rompere l’equilibrio. Finché resta nervosismo, ci si può ancora muovere. In silenzio, ma con decisione.