Cosa aspettarsi dalle riunioni Fed e BCE di questa settimana

- di: Antonio Cesarano, Chief Global Strategist di Intermonte
 

Le riunioni Fed e BCE di questa settimana metteranno alla prova le aspettative degli operatori per il 2024, che si sono spinte fino a prevedere ben cinque tagli dei tassi con una probabilità non trascurabile a partire da marzo.

 

Prima di provare a immaginare come potrebbe svolgersi il confronto tra operatori e banche centrali nel corso dell’ultima riunione dell'anno, vogliamo provare a fare qualche considerazione per cercare di rispondere a due interrogativi:

Perchè mai gli operatori si sono spinti in modo così aggressivo nell'ipotesi di tagli dei tassi?

Una parte della spiegazione risiede nei dati macroeconomici USA di novembre, che hanno mediamente fotografato un rallentamento, sebbene in modo non univoco, soprattutto con riferimento ai dati sul mercato del lavoro talvolta contrastanti. Il Surprise Index di Citigroup per gli USA (che monitora quanto i dati sono risultati migliori/peggiori delle attese) si è posizionato al minimo dallo scorso maggio.

A ben vendere, la spiegazione più forte potrebbe risiedere nel duplice ragionamento che mette insieme i fautori del soft/hard landing: i primi vedono nel calo dell'inflazione il motivo principale dell’inversione della politica monetaria, in un contesto in cui l'economia semplicemente rallenta senza però arrivare a calare; i secondi percepiscono lo spostamento di fatto del focus delle banche centrali, che non mirano più a domare l'inflazione, alla luce degli ultimi dati che ne segnalano il trend calante, quanto piuttosto a pilotare un “atterraggio morbido”. Per conciliare il soft landing con la normalizzazione del bilancio e la graduale riduzione della liquidità in circolazione, occorrerà agire sulla leva dei tassi riducendoli in modo sostanzioso.

In entrambi i casi, si arriva in prospettiva ad una riduzione dei tassi, più accentuata se si sposa il ragionamento dei fautori dell'hard landing.

Un ragionamento analogo può valere anche nel caso della BCE, alla luce della sorpresa di fine anno: una Germania in difficoltà sul fronte della legge di bilancio, al punto da ricorrere all'esercizio provvisorio, stretta nel dilemma tra investire ed indebitarsi per ristrutturare l'economia o rimanere fedele al rigore di bilancio, ma tagliare drasticamente spesa ed investimenti.

 

Qual è il punto di vista dei banchieri centrali?

Sia Powell sia Lagarde hanno provato in diverse occasioni a calmare i "bollenti spiriti" degli operatori, sottolineando che il calo dell'inflazione procede, ma non bisogna abbassare la guardia. Il riferimento implicito è all'esperienza negativa degli anni '70, quando l'inflazione che sembrava domata si risvegliò toccando un picco superiore al precedente.

Di fronte a queste dichiarazioni, gli operatori non hanno paradossalmente battuto ciglio, memori dell'errore precedente, quando le banche centrali definirono temporanea l'inflazione, salvo poi cambiare rotta, Fed in primis.

 

Indubbiamente, l'euforia è stata favorita anche dal fatto che nelle ultime settimane il focus si sia spostato quasi interamente su variabili macro, in presenza di un flusso di emissioni in rapido calo, come solitamente accade a fine anno.

A ciò si aggiunga il calo del petrolio, frutto da un lato del forte flusso di esportazioni degli Usa (circa l'85% del totale estratto, rispetto al 60% del periodo pre-Ucraina), dall'altro del recente accordo Opec sui tagli alla produzione, percepito come poco credibile.

 

Si arriva così all'appuntamento di fine anno con le banche centrali, che verosimilmente cercheranno ancora di gettare acqua sul fuoco, proprio per evitare sorprese negative sul fronte inflazione, memori dell'esperienza degli anni '70. 

I membri Fed nella riunione di settembre avevano ipotizzato un livello dei tassi 2023 di 25 pb superiore a quello attuale, con tagli da 50 pb nel 2024. I dots saranno monitorati con attenzione per verificare quanto i membri Fed si avvicinino alle attese di mercato attuali.

Lagarde punterà probabilmente sul fatto che l'inflazione potrebbe risalire nei prossimi mesi, rendendo prematuro ipotizzare dei tagli. Ma è anche vero che nelle previsioni su Pil e inflazione che saranno rese note giovedì prossimo figurerà per la prima volta il 2026, che potrebbe far emergere un'inflazione al 2% o anche leggermente al di sotto. Importante sarà anche l'inflazione stimata al 2025, ipotizzata al 2,1% a settembre.

 

In sintesi

Come potrebbe chiudersi il confronto banche centrali/operatori?

Il richiamo dei banchieri centrali alla moderazione potrebbe essere solo in parte recepito, soprattutto se poi "tradito" dalle stime sull'inflazione.

In ultima istanza, ci si aspetta che il trend calante dei tassi continuerà nel 2024. Tuttavia, se le banche centrali dovessero iniziare a intravvedere il target del 2%, il percorso calante dei tassi potrebbe iniziare a sperimentare qualche curva, determinata ad esempio da dati macro sopra le attese, da un rigurgito inflattivo per effetto del confronto dicembre/gennaio (come prezzano gli inflation swap) o, infine, dalla ripresa delle emissioni.

In poche parole, gli operatori volterebbero pagina con il tema banche centrali alle prese con l'inflazione e inizierebbero a fronteggiare altri temi, che, pur non negando l'ipotesi di un trend calante, lo renderebbero meno ripido in discesa.

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