Elezioni 2022 - Quello che i sondaggi non possono prevedere
- di: Daniele Minuti
Ancora poche ore e le voci dei politici dovranno tacere, per rispettare una tregua elettorale che ormai è solo formale, visto che i social e, più in generale, gli strumenti di comunicazione corrono senza che nessuno li possa controllare o sanzionare.
Ancora poche ore e non ci giungeranno più appelli a votare chi promette la Luna e l'intero sistema solare; non ci saranno più punzecchiature e lancio di strali; non si manifesteranno più momenti in cui, a sentire tesi strampalate e argomenti risibili, verrebbe voglia di ritirarsi in un atollo in attesa dell'esito del voto.
Si avvicina sempre più il giorno del voto per le elezioni 2022
Comunque, è la liturgia di sempre, con tutti che, a parole, si dicono sicuri della vittoria, quasi che l'evidenza delle circostanze possa essere manipolata.
Mai come in queste elezioni, il destino politico del Paese sembra essere già segnato: anche se l'avanzata di qualche partito in determinate zone del Paese (i Cinque Stelle al Sud dove il tema del reddito di cittadinanza ha fatto molta presa) può mettere in dubbio l'esito della competizione in alcuni collegi uninominali, il centrodestra (Fratelli d'Italia, Lega e Forza Itali, più le formazioni - col massimo rispetto - minori) non dovrebbe avere problemi ad ottenere una vittoria netta.
Che però, per strano che possa apparire, laddove fosse schiacciante, sarebbe foriera di qualche problema tenendo conto che il bacino elettorale è, voto più, voto meno, lo stesso e quindi, sulla base del principio dei vasi comunicati, la crescita di un partito si tradurrebbe nella sconfitta dell'altro. Posto che il risultato aritmetico delle elezioni sarebbe lo stesso, bisognerà vedere quali saranno le proporzioni di voti ed eletti dei singoli partiti e, quindi, i rapporti di forza e, di conseguenza, con che grado di forza contrattuale essi si siederanno al tavolo della ''spartizione''.
L'andamento della campagna elettorale, se ne sono accorti tutti, ha visto spesso nell'ambito della coalizione del centrodestra Giorgia Meloni e Matteo Salvini parlare spesso lingue diverse, non facendo nulla per dissimulare diversità e contrapposizioni.
Per dirla usando una terminologia mutuata dal gioco del calcio, Giorgia Meloni, forte dei sondaggi, ha giocato per mantenere la supremazia territoriale, consapevole che una elezione come questa la si può perdere solo incorrendo in errori clamorosi. Da parte sua Matteo Salvini, per uscire dal suo terzo di difesa e andare nella metà campo avversaria, ha dovuto vestire nuovamente i panni del guascone, ergendosi a difensore di tutte le categorie possibili e dicendo che solo lui (lui e non tanto la Lega) può risolverne i problemi.
Anche se i sondaggi dell'ultima ora danno la Lega indietro di una decina di punti rispetto a FdI, le urne, se solo dicessero che ha recuperato parte del distacco, autorizzerebbero Salvini ad aumentare il peso delle sue richieste, in termini di ministeri reclamati, Interni e Giustizia in testa. Poi, un Salvini, anche se non vincitore almeno non sconfitto, rivendicherebbe quel ministero di peso a Milano, un cavallo di battaglia di ritorno che non sta né in cielo, né in terra per mille motivi, ma che lui usa, nella non celata speranza di riproporsi come il ''lumbard'' di un tempo lontano.
Mentre i due cavalli che trainano il tiro a tre del centrodestra scalpitano cercando di mettere, alla fine della corsa, la loro testa davanti a quella dell'avversario, Forza Italia vive solo per quello che fa Silvio Berlusconi, che, fatto umanamente comprensibile visto quello che dice la sua carta d'identità, sta combattendo una battaglia da postazioni di retroguardia: messaggi video o audio, interventi di poche righe, tante promesse e l'ennesima versione di barzellette, le stesse che raccontava trent'anni fa e alle quali tutti ridono per pura cortesia.
Oggi è difficile pronosticare cosa otterrà dalle urne Forza Italia tenuto conto che, al di là degli insulti che sono stati loro rivolti, Mara Carfagna e Maria Stella Gelmini, sbattendo la porta, hanno creato dei problemi al partito, del quale non hanno mancato la mancanza di democrazia interna e la subordinazione a desideri, voglie e piccole rivincite di un ristretto gruppo di persone.
Della sinistra o del centro poco o nulla da dire, se non che è la prima volta, negli ultimi decenni, che con una destra preconizzata come vittoriosa, i partiti che dovrebbero contrastarla si sono fatti la guerra tra di loro, indebolendosi manifestamente. Persino davanti allo spettro di una sconfitta cocente, a sinistra è tutto un fiorire di accuse e sfottò, come se non si vedesse che un minimo di alleanza, anche tra partiti che non la pensano allo stesso modo su tutto, poteva tentare di contrastare la vittoria, per i sondaggisti annunciata, di Meloni e compagni. Una tattica suicida, di cui qualcuno alla fine dovrà pure pagare il prezzo.