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Egitto e Turchia, l’asse della convenienza: Gaza come terreno di riavvicinamento e il Mediterraneo come posta in gioco

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Egitto e Turchia, l’asse della convenienza: Gaza come terreno di riavvicinamento e il Mediterraneo come posta in gioco

Il vertice straordinario arabo-islamico di Doha ha offerto il palcoscenico a un incontro che segna un passaggio storico nelle relazioni regionali. Il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi e l’omologo turco Recep Tayyip Erdogan, per anni rivali, hanno confermato la volontà di rafforzare il dialogo bilaterale e il coordinamento internazionale.

Egitto e Turchia, l’asse della convenienza: Gaza come terreno di riavvicinamento e il Mediterraneo come posta in gioco

Il tema ufficiale è Gaza: la catastrofe umanitaria fornisce la cornice ideale per riaffermare posizioni comuni e presentarsi come difensori della causa palestinese. Ma dietro la retorica, la riconciliazione risponde a logiche molto più profonde, legate agli equilibri del Mediterraneo e al bisogno reciproco di rompere l’isolamento.

Palestina come collante
Il comunicato diffuso dalla presidenza egiziana parla chiaro: condanna dell’“aggressione israeliana”, rifiuto delle politiche di assedio e fame, rilancio della soluzione dei due Stati entro i confini del 1967 con Gerusalemme Est capitale.

Un linguaggio consolidato, che in passato aveva diviso i due Paesi – con Ankara vicina a Hamas e Il Cairo più allineato a Israele – ma che oggi diventa terreno d’incontro. Entrambi cercano di accreditarsi come mediatori indispensabili, consapevoli che la gestione della questione palestinese rimane il parametro con cui si misura la leadership nel mondo arabo-islamico.

Dalla rivalità al pragmatismo

Per oltre un decennio Turchia ed Egitto hanno giocato da avversari. Dopo il 2013, Al Sisi aveva accusato Erdogan di sostenere i Fratelli musulmani, nemico politico interno al Cairo. Ankara, a sua volta, aveva usato la retorica pro-Hamas per consolidare il suo ruolo di paladino dei sunniti, in contrasto con l’Egitto e con le monarchie del Golfo.

Oggi i rapporti si ricompongono. Per l’Egitto, schiacciato da debito estero e crisi valutaria, la Turchia è un partner economico in grado di fornire capitali e know-how. Per Ankara, provata dall’inflazione e dall’isolamento diplomatico, l’intesa con Il Cairo è funzionale a riaprire canali nel Mediterraneo orientale e ridurre la pressione degli avversari regionali.

Il Mediterraneo orientale come banco di prova

La vera partita si gioca a mare. In Libia, fino a pochi anni fa, Il Cairo sosteneva Haftar mentre Ankara era il principale sponsor del governo di Tripoli. Oggi, senza rinunciare alle rispettive sfere d’influenza, entrambi comprendono che un conflitto prolungato logora le loro risorse e apre spazi alle potenze del Golfo e alla Russia.

Sul fronte energetico, la scoperta di nuovi giacimenti nel Mediterraneo orientale ha ridisegnato la mappa delle alleanze. L’Egitto ambisce a diventare hub del gas naturale liquefatto, sfruttando i terminali di Idku e Damietta; la Turchia vuole consolidare la propria posizione di hub energetico regionale, ponte tra Asia ed Europa. Una convergenza su regole e corridoi energetici ridurrebbe la conflittualità e potrebbe attrarre investimenti europei.

Stabilità come necessità

Al Sisi ed Erdogan hanno ribadito a Doha l’importanza del rispetto della sovranità statale e della tutela dell’integrità territoriale. Parole che parlano di Siria, Iraq, Libano, ma soprattutto di Libia, dove la sovranità è ancora frammentata e dove ogni accordo regionale passa da una forma di intesa tra Ankara e Il Cairo.

Il messaggio è pragmatico: meno rivalità aperta, più gestione condivisa di crisi che rischiano di destabilizzare entrambi.

Un asse fragile ma utile

Il riavvicinamento tra Turchia ed Egitto non cancella anni di diffidenza, né risolve i nodi strutturali: la presenza dei Fratelli musulmani in esilio, le divergenze sulle acque economiche nel Mediterraneo, i rapporti incerti con Israele. Ma offre a entrambi uno strumento per rafforzare la propria legittimità interna e internazionale.

Per Erdogan, significa presentarsi come leader capace di tessere nuovi equilibri, dopo anni di conflitti a tutto campo. Per Al Sisi, significa guadagnare respiro economico e diplomatico in un momento in cui il Paese è esposto a crisi finanziarie e sociali.

Doha come segnale
L’incontro tra i due leader a margine del vertice di Doha va letto quindi non solo come un gesto politico, ma come l’inizio di un asse della convenienza, costruito sull’intreccio di interessi energetici, commerciali e di sicurezza. Gaza è il pretesto immediato; il Mediterraneo orientale la posta vera.

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