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Export italiano in crescendo: la spinta Usa, ma l’agroalimentare trema

- di: Bruno Coletta
 
Export italiano in crescendo: la spinta Usa, ma l’agroalimentare trema
Export italiano in crescendo: la spinta Usa, ma l’agroalimentare trema
Record a luglio grazie agli Stati Uniti, ma dazi e perdite mettono a rischio i prodotti che hanno fatto la fortuna del Made in Italy.

Il quadro delle esportazioni italiane a luglio 2025 rivela luci e ombre: da un lato performance sorprendenti, in particolare verso gli Stati Uniti, dall’altro segnali d’allarme per l’agroalimentare. Questo è l’esito dei dati più recenti e delle reazioni politiche, tra ottimismo strategico e richieste urgenti di tutela. In questo articolo esploriamo i numeri, le dinamiche, le prospettive e i rischi.

Numeri, trend e contesto

  • A luglio 2025 l’export italiano è cresciuto del +7,3% su base annua, mentre le importazioni sono salite del 6,1%.
  • Su base mensile, le esportazioni sono aumentate dell’1,2% rispetto a giugno.
  • L’avanzo della bilancia commerciale in luglio è stato pari a circa 7,9 miliardi di euro, in aumento rispetto allo stesso mese del 2024.
  • Spingono soprattutto mezzi di trasporto (esclusi autoveicoli), farmaci e beni chimico-medici, oltre a metalli e alcuni comparti alimentari.

Lo scatto verso gli Stati Uniti e l’effetto dazi

Le esportazioni italiane verso gli Stati Uniti sono balzate a luglio con un +24,1% su base annua, molto sopra il ritmo di giugno. Il dato è stato trainato da ordini anticipati: molti operatori hanno spedito prima dell’entrata in vigore dei dazi statunitensi contro beni europei. Hanno inciso in modo particolare grandi operazioni di cantieristica navale e il perdurare dell’ampliamento delle vendite di farmaceutica.

Il rovescio della medaglia: agroalimentare in calo

L’agroalimentare è l’anello debole: nei primi sette mesi del 2025 l’export del comparto verso gli Usa risulta in perdita stimata per centinaia di milioni di euro. A luglio, le spedizioni agroalimentari hanno segnato un calo vicino al 10% rispetto a luglio 2024, dopo i primi segnali negativi di giugno. Sotto pressione i prodotti simbolo del Made in Italy — vino, olio, formaggi a denominazione, pasta e conserve — più esposti all’inasprimento tariffario.

Le reazioni politiche, istituzionali e delle associazioni

Il ministro degli Esteri Antonio Tajani saluta con favore il risultato di luglio e giudica “ragionevolmente raggiungibile” l’obiettivo di 700 miliardi di euro di export entro il 2026, alla luce dei valori cumulati dei primi sette mesi. Anche l’Ice, per voce del presidente Matteo Zoppas, sottolinea che “si inizia a consolidare un risultato”, con l’Italia che ritrova slancio dopo i mesi più difficili. Più caute le associazioni dei consumatori, che definiscono il boom un “effetto ottico” legato agli ordini anticipati. Dal fronte agricolo arrivano richieste di tutela per le eccellenze e di esenzioni mirate dalle nuove tariffe.

Le sfide immediate e le incognite

1. Sostenibilità del trend. L’aumento dell’export legato agli anticipi è temporaneo. Senza strategie di diversificazione e penetrazione stabile, il rischio è una frenata nei mesi successivi.

2. Agroalimentare sotto pressione. Le nuove tariffe Usa riducono la competitività dei prodotti a denominazione e ad alto valore aggiunto. Serve difesa dei marchi, promozione e strumenti di mitigazione.

3. Rapporto con l’Unione europea. Il settore invoca più protezione e misure compensative a livello Ue, incluse possibili esenzioni per filiere strategiche.

4. Scelte strategiche delle imprese. Qualità, logistica, packaging, adeguamento normativo e soprattutto diversificazione dei mercati (Asia, Medio Oriente, America Latina) diventano priorità per ridurre il rischio di concentrazione.

Non è un trionfo generalizzato

Il balzo dell’export a luglio è incoraggiante e racconta un Paese capace di trovare opportunità anche in una fase di tensioni commerciali. Ma non è un trionfo generalizzato. Se governo, istituzioni europee e imprese non metteranno in campo politiche di tutela, adattamento e diversificazione, i dazi Usa rischiano di lasciare un segno duraturo non solo sui numeri, ma sulla stessa identità economica di molte filiere.

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