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Dollaro giù, America in bilico: panico o strategia?

- di: Bruno Legni
 
Dollaro giù, America in bilico: panico o strategia?
Dollaro ai minimi dal ’73: Trump festeggia, ma il mondo trema
La valuta Usa perde colpi come mai dal ’73: sfiducia globale, dazi e Fed nel mirino. Ma Trump scommette sull’export.

Il dollaro va giù, e stavolta non è un bene

Il dollaro non è solo una valuta: è lo specchio del potere americano. E oggi quel riflesso è offuscato. Il biglietto verde sta vivendo il peggior inizio d’anno degli ultimi 50 anni. Il Dollar Index ha perso più del 10% da gennaio, toccando i minimi dal 2022. Si parla di una “crisi senza precedenti” aggravata da debito esplosivo, politiche commerciali aggressive e un’incertezza crescente sulla Federal Reserve.

Siamo di fronte a un crollo fisiologico o a una crisi di fiducia strutturale? Le risposte non rassicurano.

Le tre spine nel fianco del dollaro

1. I dazi di Trump.
Il ritorno del presidente repubblicano ha significato una valanga di tariffe doganali: Cina, Messico, Unione Europea, chiunque esporti negli Usa è stato colpito. Il risultato? Gli investitori temono una frenata del commercio globale, e vendono dollari. Si parla di una “grande fuga dal dollaro” come risposta alla nuova guerra commerciale lanciata dalla Casa Bianca.

2. Debito pubblico fuori controllo.
Il deficit federale ha superato i 2.000 miliardi di dollari l’anno. Gli Usa sono costretti a immettere titoli di Stato sul mercato a ritmi record, e molti compratori – soprattutto esteri – iniziano a tirarsi indietro. Gli arabi riducono le riserve in dollari, la Cina diversifica. Il rischio? Perdere lo status di valuta rifugio globale.

3. La Fed nel mirino.
Un sondaggio rivela che il 66% dei gestori dei fondi sovrani teme che la Federal Reserve abbia perso la propria indipendenza. Le continue pressioni di Trump per tagliare i tassi “a tutti i costi” gettano ombre sull’autonomia della banca centrale. Una Fed politicizzata spaventa più del deficit.

Sfida geopolitica: chi esulta e chi trema

Un dollaro debole non è automaticamente un male, anzi. A Washington molti lo leggono come un’arma competitiva: esportare di più, contenere le importazioni, attrarre turismo. L’amministrazione Trump non sembra preoccupata. In un’intervista ha dichiarato: “Un dollaro troppo forte ci ha rovinato per decenni. Finalmente gli altri giocheranno con le nostre regole”.

Eppure, Wall Street non applaude. Le Borse americane soffrono la fuga di capitali e l’incertezza monetaria. Il Nasdaq ha perso il 4% in due settimane, il Dow Jones il 3,2%. Le grandi multinazionali Usa temono che il clima di sfiducia allontani gli investitori e aumenti il costo del debito.

Intanto, l’Europa si rafforza: l’euro è tornato sopra quota 1,20 sul dollaro, lo yen guadagna terreno, e persino il peso messicano è in rimonta. Il mondo sta disaccoppiando le proprie sorti da quelle americane.

È davvero una crisi di fiducia?

La parola chiave è proprio questa: fiducia. E oggi vacilla su più fronti:

  • fiducia nella stabilità economica degli Stati Uniti, minata da debito eccessivo e politica monetaria incerta;
  • fiducia nel rispetto delle regole globali, che la Casa Bianca riscrive a colpi di tweet e tariffe;
  • fiducia nella solidità delle istituzioni, in particolare la Fed, percepita sempre più come ostaggio dell’Esecutivo.

Il rischio di lungo periodo? Che il dollaro non sia più visto come porto sicuro nelle tempeste globali. È una transizione che non avverrà da un giorno all’altro, ma gli indicatori sono già tutti sul cruscotto.

Dove può arrivare il declino?

Previsioni indicano un ulteriore calo del 7% entro metà 2026. Alcuni analisti temono un indebolimento strutturale se la Fed dovesse procedere con tagli dei tassi affrettati. E se il Congresso non interverrà con una manovra credibile sul debito – improbabile in un anno elettorale – il dollaro potrebbe perdere il suo primato globale.

I portafogli istituzionali stanno progressivamente alleggerendo la componente in valuta Usa a favore dell’euro, dell’oro e delle valute asiatiche. “Non si tratta di panico, ma di una correzione geopolitica sistemica”.

Trump scommette sul dollaro debole. Ma a che prezzo?

Il presidente vede nella svalutazione un vantaggio competitivo, come negli anni ‘80 con Reagan. Ma lo scenario è radicalmente cambiato. Oggi gli Usa hanno un debito triplo, una dipendenza finanziaria esterna molto più ampia e rivali geopolitici che non stanno a guardare.

Il rischio è che il dollaro debole, da arma commerciale, si trasformi in boomerang strategico, minando la fiducia nei bond americani, facendo salire i tassi reali e, infine, innescando una fuga di capitali dai mercati Usa.

In sintesi

  • Il dollaro sta crollando come non accadeva dal 1973.
  • Le cause sono politiche: dazi, debito, Fed politicizzata.
  • È in gioco la fiducia mondiale nel sistema Usa.
  • Trump festeggia, Wall Street teme il boomerang.
  • L’Europa e l’Asia osservano… e incassano.

La crisi non è ancora irreversibile. Ma la traiettoria è tracciata: o gli Usa recuperano credibilità sistemica, o il dollaro smetterà di essere l’ultima ancora nelle tempeste del mondo. E a quel punto, la vera crisi sarà globale.

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