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Berlino frena Snam: perché è saltato l’affare Open Grid

- di: Jole Rosati
 
Berlino frena Snam: perché è saltato l’affare Open Grid
Berlino frena Snam: perché è saltato l’affare Open Grid
Il governo tedesco chiude la porta all’ingresso di Snam nella rete del gas Oge. Pesano i timori sulla presenza cinese nel capitale e la nuova linea europea sulle infrastrutture strategiche.

(Foto: il Ceo di Snam,  Agostino Scornajenchi).

Un affare da 920 milioni sfumato a un passo dal traguardo

Era l’operazione che doveva consacrare Snam come protagonista della grande dorsale Sud-Nord del gas europeo. Ad aprile il gruppo italiano aveva firmato un accordo per rilevare il 24,99% di Open Grid Europe (Oge) da Infinity Investments, veicolo interamente controllato da Abu Dhabi Investment Authority, per un valore di circa 920 milioni di euro. L’ingresso nel capitale di Oge, il principale operatore indipendente di trasmissione del gas in Germania, avrebbe aperto a Snam le porte del più grande mercato continentale e rafforzato il progetto di corridoio energetico dal Mediterraneo al Nord Europa.

L’intesa prevedeva il passaggio di una quota di Vier Gas Holding, la holding che controlla Oge, oggi partecipata, oltre che dal fondo emiratino, da investitori finanziari internazionali e dal gestore belga Fluxys. Il perfezionamento della transazione era subordinato a una serie di condizioni: il mancato esercizio delle prelazioni da parte degli altri soci, il via libera dell’antitrust e soprattutto l’autorizzazione delle autorità tedesche preposte al controllo degli investimenti esteri in settori sensibili.

Proprio su quest’ultimo punto il dossier si è arenato. La procedura di esame, che normalmente si chiude in pochi mesi, si è trascinata per circa sette, costringendo Snam a rinviare più volte la data di chiusura, inizialmente fissata per fine settembre e poi spostata al 17 novembre 2025. Alla vigilia della scadenza, la decisione: accordo risolto di comune intesa con il venditore e addio, almeno per ora, allo sbarco strutturato in Germania.

I timori di Berlino: la “China connection” nell’azionariato Snam

Perché il governo tedesco ha frenato proprio su un operatore europeo come Snam, peraltro controllato a sua volta da una filiera pubblica italiana? Il punto sensibile è la presenza, nella catena societaria, di State Grid Corporation of China, il gigante elettrico di Pechino che figura tra i maggiori player infrastrutturali del pianeta.

State Grid detiene il 35% di Cdp Reti, la holding partecipata da Cassa Depositi e Prestiti che a sua volta possiede circa il 31,4% di Snam ed è azionista anche di altre infrastrutture critiche italiane, come Terna e Saipem. In pratica, agli occhi di Berlino l’operazione Oge non era solo l’ingresso di un operatore italiano, ma anche – indirettamente – l’accesso a una porzione della rete del gas tedesca da parte di un gruppo cinese partecipato dallo Stato.

Negli ultimi anni la Germania ha irrigidito il controllo sugli investimenti esteri nelle infrastrutture energetiche, in linea con l’orientamento europeo di tutela degli asset strategici. Già nel 2018 era stato bloccato il tentativo di State Grid di entrare nel capitale dell’operatore elettrico 50Hertz; più di recente, la discussione si è accesa anche su porti, terminal logistici e società del 5G. In questo contesto, la presenza del socio cinese nella catena di controllo di Snam è finita sotto la lente del ministero dell’Economia tedesco.

Secondo le ricostruzioni di stampa internazionale, l’esecutivo guidato da Friedrich Merz ha voluto verificare se l’operazione potesse costituire una minaccia per la sicurezza pubblica o per l’ordine pubblico, come previsto dalla normativa federale sul controllo degli investimenti in infrastrutture critiche. La sensazione, alla fine della lunga istruttoria, è che le rassicurazioni fornite da Snam non siano state ritenute sufficienti.

Le contromisure offerte da Snam e il ruolo ridotto a “puro investitore”

Per superare le resistenze tedesche, Snam avrebbe messo sul tavolo alcune misure di ring-fencing e governance volte a dimostrare che il socio cinese non avrebbe avuto alcun accesso ai dati sensibili né voce in capitolo sulle decisioni di Oge. Nel consiglio di amministrazione di Snam, infatti, State Grid esprime un solo consigliere su nove, in un assetto dove il baricentro resta saldamente in mano alla componente pubblica italiana.

Nel corso dei mesi, tuttavia, dalle interlocuzioni con le autorità tedesche è emerso che, pur apprezzate, queste garanzie venivano considerate ancora non del tutto sufficienti. Le ulteriori richieste che arrivavano da Berlino avrebbero finito per trasformare Snam in un socio sostanzialmente passivo, limitato a un ruolo finanziario e con margini molto ridotti di intervento industriale sulla gestione della rete tedesca.

Per un gruppo che ha sempre rivendicato il proprio profilo di operatore industriale – e non di semplice investitore – sarebbe stato un prezzo troppo alto. In più occasioni il nuovo amministratore delegato Agostino Scornajenchi ha fatto capire che l’asset tedesco è interessante, ma non a ogni costo. In una recente intervista, commentando la lentezza dell’iter autorizzativo, il manager aveva ammesso: “Siamo rimasti sorpresi dalla complessità e dalla durata del processo, ma non inseguiremo l’operazione a qualsiasi condizione”, ribadendo che la priorità resta la solidità del profilo industriale e finanziario di Snam.

Alla fine, di fronte a un quadro regolatorio che si irrigidiva e alla prospettiva di un ingresso depotenziato, il gruppo italiano ha preferito ritirarsi dall’accordo e concentrare le risorse su altri progetti, a partire dai corridoi energetici mediterranei e dalle infrastrutture per l’idrogeno.

Che cos’è Open Grid Europe e perché interessa così tanto

Open Grid Europe è il principale operatore indipendente della rete di trasmissione del gas in Germania, con oltre 12.000 chilometri di gasdotti e un ruolo centrale nel collegare i flussi provenienti da Nord, Est e Sud del continente. Per Snam, abituata a gestire una delle più estese reti di trasporto del gas in Europa, l’ingresso in Oge avrebbe significato:

  • rafforzare la presenza nel cuore del mercato europeo del gas;
  • costruire un asse Sud-Nord che, nel medio periodo, potesse veicolare non solo gas naturale ma anche idrogeno e altri gas rinnovabili;
  • valorizzare il ruolo dell’Italia come hub energetico mediterraneo, grazie anche ai collegamenti con Nord Africa e Sud Europa.

Oge è inoltre coinvolta nei progetti europei di conversione delle reti gas in infrastrutture “multi-molecola”, in grado di trasportare progressivamente quote crescenti di idrogeno verde e biometano. Per Snam avrebbe rappresentato un tassello coerente con il percorso di trasformazione delle proprie reti e con gli obiettivi di neutralità climatica fissati al 2050.

La nuova linea europea sugli asset strategici

La vicenda Oge si inserisce in una tendenza più ampia: la progressiva militarizzazione delle infrastrutture energetiche nelle valutazioni politiche europee. Dopo la crisi del gas seguita all’invasione russa dell’Ucraina, le reti di trasporto e i terminal sono diventati, ancora più di prima, strumenti di politica estera e di sicurezza.

L’Unione europea ha varato un meccanismo di screening sugli investimenti esteri, che consente agli Stati membri di bloccare o condizionare l’ingresso di capitali extra-Ue in settori considerati sensibili, dalle telecomunicazioni all’energia. La Germania, per tradizione uno dei paesi più aperti agli investitori stranieri, ha progressivamente irrigidito la propria normativa nazionale, ampliando la lista dei comparti coperti da controlli stringenti.

In questo quadro, la presenza – anche se indiretta e minoritaria – di un grande gruppo cinese nel capitale di un operatore che vuole entrare in una rete di trasmissione nazionale diventa un tema delicato. Molto più di quanto non accadesse solo pochi anni fa, quando partnership di questo tipo sarebbero forse passate quasi sotto silenzio.

Le ricadute su Snam: conti in ordine, strategia da ricalibrare

Dal punto di vista dei numeri, Snam ha tenuto a precisare che la risoluzione dell’accordo non comporta impatti sulla guidance 2025 comunicata a inizio novembre: l’utile netto rettificato resta atteso a circa 1,42 miliardi di euro e il debito netto intorno ai 18 miliardi di euro. L’operazione Oge era considerata un’opportunità importante ma non indispensabile per il raggiungimento degli obiettivi di piano.

Lo stop, però, ha un evidente significato strategico. Il gruppo dovrà ripensare la propria geografia degli investimenti in Europa, puntando ancora di più sui corridoi Sud-Nord che passano da Francia, Spagna e Balcani, dove Snam è già presente con partecipazioni in operatori come Teréga e con ruoli cruciali in progetti come TAP e le nuove dorsali per l’idrogeno.

Nel medio periodo la partita tedesca potrebbe riaprirsi in altre forme, magari attraverso partnership industriali o progetti comuni sulle reti dedicate all’idrogeno, dove la sensibilità politica è meno accesa rispetto ai gasdotti tradizionali. Ma molto dipenderà dall’evoluzione del quadro normativo tedesco e dal modo in cui verrà gestito, a livello europeo, il rapporto con i capitali cinesi nel settore energetico.

Italia–Germania, cooperazione energetica in cerca di nuovo equilibrio

Il mancato via libera a Snam arriva mentre Italia e Germania stanno ripensando la loro cooperazione energetica. Da un lato Berlino ha bisogno di diversificare le forniture dopo il taglio del gas russo; dall’altro Roma punta a valorizzare la propria posizione geografica, con gasdotti e terminal che collegano Nord Africa, Est del Mediterraneo e mercato europeo.

In teoria, l’ingresso di un operatore italiano in una grande rete tedesca avrebbe potuto rafforzare questa convergenza, mettendo a fattor comune infrastrutture e competenze. In pratica, il dossier Oge dimostra che la dimensione geopolitica – in questo caso il rapporto con la Cina – può pesare più di quella industriale.

È plausibile che nei prossimi mesi i governi dei due Paesi cerchino vie alternative per sviluppare progetti comuni su idrogeno verde, interconnessioni elettriche e stoccaggi, magari in contesti dove la presenza di azionisti extra-Ue è meno problematica o più facilmente circoscrivibile attraverso schemi di governance ad hoc.

Cosa resta dopo lo stop: lezioni e scenari

Il passo indietro di Snam su Oge lascia sul tavolo almeno tre lezioni.

La prima è che, per le infrastrutture energetiche, il confine tra operazione industriale e dossier politico-diplomatico è sempre più sottile. Ogni grande acquisizione in questo campo deve fare i conti non solo con i conti economici, ma con la percezione di sicurezza nazionale dei Paesi coinvolti.

La seconda è che la presenza di capitali cinesi nei veicoli che controllano asset europei, anche se acquisita in passato, può diventare un fattore di vulnerabilità regolatoria quando si prova a muoversi su altri mercati. In questo senso, il caso Oge potrebbe spingere Roma e gli stessi operatori a rivedere nel tempo la propria struttura azionaria.

La terza riguarda l’Europa: se ogni Stato membro applica regole e sensibilità diverse nel filtrare gli investimenti, il rischio è quello di una frammentazione del mercato interno dell’energia, con progetti transnazionali che diventano più difficili da realizzare. Una sfida non da poco per un continente che punta a costruire reti integrate per gas, elettricità e idrogeno.

Per Snam, intanto, la partita non finisce qui. Il gruppo ha già fatto sapere che continuerà a cercare opportunità di crescita selettive in Europa, privilegiando quelle in cui può esercitare un ruolo industriale pieno e compatibile con le regole locali. La Germania, per ora, resta un obiettivo mancato. Ma in un settore in continua evoluzione, chi oggi chiude una porta domani potrebbe riaprire almeno una finestra. 

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