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Draghi manda a casa Arcuri e nomina un generale commissario anti-pandemia

- di: Diego Minuti
 
Draghi manda a casa Arcuri e nomina un generale commissario anti-pandemia
Domenico Arcuri non è più il commissario anti-pandemia: Mario Draghi lo ha giubilato nominando, come suo sostituto, il generale Francesco Paolo Figliuolo, ritenuto un grande organizzatore e, per questo, con il il giusto profilo per superare la grave emergenza sanitaria che, ormai da troppo tempo, imperversa sul Paese, facendo migliaia e migliaia di morti.
Una mossa certo non a sorpresa e che, in qualche modo, mette da oggi a tacere tutte le voci che si sono levate nelle ultime settimane contro Arcuri, che, a detta dei suoi detrattori, non solo ha mancato nel rendere efficiente la macchina della risposta alla pandemia, quanto non ha saputo fornire elementi concreti per allontanare le ombre che sul suo operato si sono addensate a causa di persone che, della sua conoscenza (da lui peraltro molto ridimensionata), si sono fatte scudo per sfruttare l'emergenza, diventata un vergognoso modo di guadagnare. Anzi di lucrare spregiudicatamente sulla sofferenza di un intero Paese.

Quindi, dopo i ringraziamenti di prassi che gli sono stati o gli saranno rivolti, ad Arcuri è stato chiesto semplicemente di togliere l'incomodo per colpe gestionali a lui riconducibili, ma anche per i dubbi legati alle modalità e alle agevolazioni grazie alle quali milioni e milioni di mascherine sono giunte in Italia percorrendo a grande velocità autostrade burocratiche per altri impervie e per loro senza il minimo contrattempo.
Domenico Arcuri non figura in alcuna inchiesta, questo bisogna dirlo, nel momento in cui ha respinto ogni accusa o sospetto, limitando ad ammettere una conoscenza quasi superficiale con alcune persone rimaste invischiate in una indagine relativa all'acquisto, da tre soggetti cinesi, di milioni di mascherine. Ma un conto è l'inchiesta giudiziaria, un altro è il profilo etico, secondo il quale, almeno a nostro avviso, non ci possono essere contatti di sorta tra chi è preposto ad acquistare una cosa per conto dello Stato e chi vende, approfittando di rapporti spacciati come amichevoli, se non di più.

La sostituzione di Arcuri con il generale Figliuolo, quindi ha un duplice aspetto: rendere migliore la macchina della risposta dello Stato alla pandemia e, poi, resecare qualsiasi legame con il precedente Governo, dando una immagine plastica non solo del cambio di passo, ma piuttosto di una totale elisione del precedente registro morale e politico.
Intendiamoci: Domenico Arcuri resta una brava ed onesta persona, sino a prova del contrario, ma il suo tempo al volante della macchina della lotta all'emergenza era finito e da tempo.
Ora lo Stato - con la decisione presa da Mario Draghi - sta dicendo a chiare lettere che non saranno più accettati ritardi o distorsioni nella strategia della campagna vaccinale, di cui il presidente del consiglio ha allungato gli orizzonti, ponendo precisi obiettivi di operatività. E questo significa anche che il canone che sino ad oggi ha governato questa delicatissima materia non è più valido, con tutto quello che significa anche politicamente, diventando quasi una sconfessione delle decisioni assunte da chi ieri governava ed oggi non governa più.

Quindi, a ben guardare quanto è accaduto da qualche mese a questa parte, Arcuri ha resistito alle critiche (fondate o presunte, non spetta a noi dirlo), ma per chiedergli di lasciare il posto ad altri c'è voluta una crisi di governo ed un cambio di stratega a palazzo Chigi.
E per restare in politica sono arrivate abbastanza scontate le grida di gioia di quelli che di Arcuri hanno detto il peggio possibile, chiedendone l'allontanamento. Che poi le richieste siano state accolte, nominando al suo posto un ufficiale come Figliuolo, capo della logistica dell'Esercito, nonché pluridecorato, è considerata una vittoria da parte di chi - Salvini, Meloni ed anche Renzi - oggi celebrano, inneggiando alla defenestrazione del potentissimo commissario. Come facevano le tricoteuses che, davanti alla ghigliottina che lavorava quotidianamente ai tempi della rivoluzione francese, urlavano di gioia ogni volta che la lama cadeva, mandando teste nobili nella cesta.
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