Il sì al Def di oggi non cancella lo sconcerto per la prima bocciatura
- di: Redazione
Non è certo infrequente che un provvedimento proposto dal Governo, e quindi dalla maggioranza che lo sostiene, non passi il giudizio di una delle due Camere. E' accaduto in passato (più frequentemente di quanto si possa pensare), ma, verrebbe da dire, c'è modo e modo e, soprattutto, ci sono provvedimenti e provvedimenti. E' per questo che quanto accaduto ieri, alla Camera, ovvero la bocciatura della risoluzione sullo scostamento di bilancio (da 3,4 miliardi di euro nel 2023 e 4,5 miliardi nel 2024), deve essere analizzato non soltanto dal punto di vista pratico, quanto per quello che della maggioranza ha mostrato. Cioè che, nel momento in cui il governo avrebbe dovuto contare su una solida maggioranza, visto l'argomento che la Camera doveva votare (e, a rigore di logica, approvare), i numeri sono mancati, e senza volere chiosare troppo, anche clamorosamente.
Il sì al Def di oggi non cancella lo sconcerto per la prima bocciatura
Non tanto perché oltre 45 voti della maggioranza sono mancati all'appello (con motivazioni varie, alcune delle quali a dir poco sconcertanti), quanto perché l'accaduto ha forse mostrato l'aspetto negativo di una coalizione numericamente molto forte, ma che non lo è altrettanto sul piano della coesione. Oggi il provvedimento è stato riproposto ed è passato con una maggioranza massiccia (221 a favore, 115 i contrari), ma anche con un durissimo scontro in aula, quando il capogruppo di Fratelli d'Italia, Foti, ha attaccato l'opposizione che ieri, comunque, ha solo fatto il suo lavoro, non entrando nel merito delle parole e capitalizzando l'evidente infortunio della maggioranza.
Ma tornando a ieri, se si pensa che è accaduto quel che è accaduto mentre Giorgia Meloni si trovava a Londra, per proseguire il processo di accreditamento internazionale, lo sconcerto è massimo. Il primo ministro si è affrettato ad ammettere che ''è stato un brutto scivolone'', che però non deve essere considerato ''un segnale politico''.
Anche se forse ci si deve chiedere se la risposta formale che il premier ha dato all'accaduto sia proporzionale alla sua probabile e giustificata arrabbiatura nel vedere che la ''sua'' maggioranza non ha retto ad un banco di prova importante.
Ma è successo e oggi poco si può fare, da parte del Governo, che ha sostanzialmente riproposto - e quindi approvato - il provvedimento, sebbene in altra forma. Anche se, come ha detto il sottosegretario all'Economia, Federico Freni, ''rispetto alla prima relazione, il percorso di aggiustamento e le grandezze non sono in alcun modo variate''.
Con pragmatismo, è stata accantonata l'idea (che pure era circolata ieri sera) di riproporre il provvedimento nell'originaria formulazione, come a dimostrare che quello di ieri è stato un piccolo incidente, poco più di un inciampo nel cammino che, si sperava, potesse essere trionfale.
Ma dire alla Camera ''abbiamo sbagliato, ma ora dovete votare il provvedimento che avete appena bocciato'', oltre alla conferma di una sgrammaticatura istituzionale (al limite dello scontro totale con l'opposizione), sarebbe stato un problema per chi deve fare da garante. Quindi il provvedimento è stato, sia pure marginalmente, ''aggiustato'', anche perché una revisione sostanziale del testo bocciato sarebbe come una bastonata alla maggioranza, che però deve necessariamente aprire una riflessione sull'accaduto, a partire dalla cultura parlamentare dei suoi gruppi. Perché resta incomprensibile che i deputati della maggioranza non sapessero che per passare il provvedimento aveva bisogno della maggioranza assoluta, cosa che rendeva necessaria la presenza di tutti quelli i cui voto doveva garantire di oltrepassare la ''sacra'' soglia.