Colpiti i simboli del made in Italy: il Prosecco rincara, la mozzarella vola a 60 euro al chilo, l’agroalimentare chiede compensazioni. Per i produttori è un colpo da centinaia di milioni. Ora Bruxelles deve scegliere da che parte stare.
Un’intesa che sa di sconfitta
L’intesa sui dazi tra Stati Uniti ed Europa evita lo spettro peggiore – un’escalation tariffaria al 30% – ma il bicchiere è comunque mezzo vuoto. Il 15% imposto da Washington su una lista di prodotti agroalimentari che si annuncia corposa, e ancora in via di definizione, rischia di assestare un colpo durissimo all’export italiano. Mozzarella di bufala, salumi, vini di pregio: i campioni del made in Italy rischiano un rallentamento secco negli Stati Uniti, terzo mercato per valore, proprio nell’anno del boom post-pandemico.
Vino, salumi e formaggi: stangata in arrivo
Secondo l’Unione Italiana Vini, l’impatto delle tariffe Usa da sole costerebbe al comparto vinicolo 317 milioni di euro nel prossimo anno. A pagare il conto più salato potrebbero essere il Moscato d’Asti, il Pinot Grigio, il Franciacorta e soprattutto il Prosecco – oggi venduto per il 27% proprio negli Usa – già in bilico sui margini a causa del cambio euro/dollaro. E se i dazi penalizzano le bollicine, la mozzarella di bufala campana – venduta finora a 45 euro al chilo – rischia un’impennata a 60 euro sugli scaffali americani. “Gli americani continueranno a pagare questa cifra?”, si chiede Vincenzo Schiavo di Confesercenti Campania.
Il rischio boomerang e la beffa sui salumi
L’export di salumi negli Usa ha registrato nel 2024 un +20,4% in valore, per un totale di 265 milioni. Ma le nuove tariffe rischiano di ribaltare la tendenza. “Con un cambio sfavorevole e prezzi in crescita stimiamo una perdita del 10%”, ha avvertito Lorenzo Beretta, presidente dell’associazione di categoria. Tradotto: 25 milioni di euro bruciati in un anno. Il colpo è più ampio: l’export agroalimentare italiano verso gli Stati Uniti valeva 7,8 miliardi di euro nel 2024 (+17% sull’anno precedente), mentre le importazioni dagli Usa erano ferme a 1,6 miliardi.
Tutti i numeri di un’eccellenza sotto assedio
Il primo quadrimestre 2025 aveva confermato un trend positivo, con una crescita dell’8,6% sull’export agroalimentare, ma l’incertezza sull’agenda di Trump ha raffreddato i motori. Ad aprile la crescita si è dimezzata, a maggio è crollata a +0,4%. In picchiata l’olio extravergine d’oliva (-17%), il pomodoro trasformato (-17%) e i formaggi (-4%). Il vino, unico segnale di resistenza, ha recuperato un +3% dopo il calo di aprile.
La diplomazia del vino non basta
Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha promesso una trattativa per salvare il settore vitivinicolo dai dazi. Ma l’annuncio, datato 28 luglio 2025, non ha ancora prodotto risultati concreti. In attesa della lista definitiva, cresce la pressione sull’Europa perché metta in campo un piano di compensazioni. Le richieste arrivano da Coldiretti, Avito, il Consorzio del Vino Nobile di Montepulciano, fino a FederPrima – che rappresenta mangimifici, carni e molini.
Un’Europa divisa tra parole e fatti
“La Commissione europea deve agire in fretta con un piano straordinario di sostegno per le filiere colpite”, tuona Ettore Prandini, presidente di Coldiretti. Il pericolo è che la concorrenza mondiale occupi gli spazi lasciati dall’Italia: “Il rischio è che il Malbec argentino, lo Shiraz australiano o il Merlot cileno si impongano al posto dei nostri vini”, ha avvertito la Cia-Agricoltori italiani. E non è una minaccia teorica: il 48% dell’export dei bianchi Dop del Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia finisce negli Usa (138 milioni di euro nel 2024), i rossi toscani toccano il 40% (290 milioni), i piemontesi il 31% (121 milioni), mentre il Prosecco ha sfiorato il mezzo miliardo (491 milioni) nel 2024.
Una mossa politica, non economica
Il tempismo dell’amministrazione Trump è eloquente. Dopo aver introdotto i dazi sulle auto elettriche cinesi e colpito l’acciaio europeo, l’obiettivo si sposta ora sull’identità culturale del Vecchio Continente. Il cibo. Il vino. L’agroalimentare. È un’arma simbolica e concreta allo stesso tempo. Lo conferma l’Istat, che nel 2024 ha certificato l’Italia come primo Paese Ue per valore aggiunto in agricoltura (43 miliardi di euro, il 18,4% del totale europeo).
Le imprese non possono aspettare
“Non possiamo permettere che decisioni politiche travolgano imprese sane e filiere storiche”, denuncia Fedagripesca, che chiede dazi zero per vino e formaggi italiani. Ma il problema non si esaurisce con gli aiuti: il vero nodo è strategico. L’Italia esporta eccellenze, ma resta priva di una rete diplomatica efficace sul fronte agroalimentare. E senza una difesa europea solida, i prossimi colpi saranno ancora più duri.
Una sfida di sistema
Non si tratta di difendere solo l’export. Si tratta di difendere un modello culturale, una filiera fatta di territorio, lavoro, identità. Il 15% di dazi è un segnale di guerra commerciale mascherata da accordo. E l’Italia non può rispondere con l’ennesima invocazione alla “flessibilità” europea. Servono compensazioni, sì. Ma servono anche investimenti, diplomazia e visione. Perché se il made in Italy smette di parlare al mondo, non sarà solo un problema di mozzarella a 60 euro. Sarà una sconfitta di civiltà.