Covid-19: la chiusura delle sale gioco arricchisce il circuito illegale

- di: Diego Minuti
 
Forse non è completamente vero che non tutto il male viene per nuocere. Lo pensano, ma sbagliano, coloro che ritengono che, in termini assoluti, uno dei pochi aspetti positivi della pandemia sia stata la chiusura imposta a locali pubblici non essenziali, includendo in questa catalogazione anche le sale gioco (sia quelle dove si scommette su eventi sportivi, sia quella dedicate ai cultori del bingo).

Le restrizioni mirate ad evitare l'espandersi del contagio hanno quindi determinato la chiusura dei luoghi dove una parte dei giocatori italiani - gli altri, quasi l'equivalente, preferiscono i canali clandestini - va a caccia della fortuna, che, come si sa, non sempre li ripaga perché il banco non perde mai, una legge che vale per i casinò, ma anche per tutti gli altri giochi d'azzardo.
La stretta decisa per le sale giochi è di quelle che sta azzerando il circuito e per un motivo abbastanza banale. A differenza di altri settori, quello dei giochi legali ha una alternativa (appunto quella illegale) che da sempre marcia in parallelo e che la pandemia ha addirittura fatto più ricca perché se c'è chi "di" gioco vive (i titolari delle sale gioco), c'è anche chi "per" il gioco vive e che non riesce a soffocare la sua malattia solo perché sono stati chiusi i luoghi dove trascorre gran parte delle sue giornate inseguendo i suoi sogni.

Secondo qualche calcolo empirico, la chiusura delle strutture deputate ai giochi (bingo, slot e altro), anche quelle installate nei bar, hanno innescato un effetto domino che sta travolgendo un settore che paga probabilmente anche il sospetto che da sempre grava su di esso e che è legato ad un collegamento con la criminalità.
Che è un problema immanente, ma che sarebbe esiziale applicare in automatico a tutte le strutture deputate agli amanti del gioco. La chiusura si protrae ormai da quasi 200 giorni, un periodo di tempo che non solo ha interrotto il normale flusso degli incassi, quanto sta mettendo in una condizione di sopravvivenza gli addetti al settore (il cui numero viene stimato in 150 mila unità).

Ma chiuderle, in modo così drastico - fatta eccezione di una piccola ed ininfluente finestra - è realmente giustificato?
In termini assoluti sì, perché si sta parlando di luoghi che possono essere anche molto ampi, ma nei quali si determina una concentrazione di persone. Ma, dicono i gestori, noi siamo pronti a dare le massime garanzie, a prova di ogni controllo cui si riterrà di sottoporre le sale.
E non è una semplice frase ad effetto. Su questo Geronimo Cardia, presidente dell'associazione dei gestori, è molto chiaro: "Possiamo assicurare il distanziamento, la sanificazione e garantire ambienti sicuri a clienti e dipendenti. I terminali vengono igienizzati dopo ogni uso, gli ingressi sono contingentati e i livelli di sicurezza sono pari se non superiori a quelli di molti negozi dove la gente quando fa spesa tocca la merce esposta".

Un ragionamento che sembra ineccepibile, almeno sul fronte degli impegni. Ma è un problema molto complesso, che non si esaurisce solo con gli addetti al settore, ma coinvolge anche un numero consistente di italiani (circa dieci milioni, dei quali un milione e 300 mila affetti da ludopatia) che, senza alternative ed aggrediti dalla necessità di giocare d'azzardo, si rivolgono a circuiti alternativi, anche se si sa bene in mano alla criminalità.
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