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La Corte Suprema mette Netanyahu all’angolo: ecco perché

- di: Bruno Legni
 
La Corte Suprema mette Netanyahu all’angolo: ecco perché
Perché la Corte Suprema mette Netanyahu all’angolo
Lo stop all’inchiesta sul 7 ottobre non è una formalità: è una battaglia sul potere di scrivere la verità. 

La notizia, presa da sola, sembra “tecnica”: la Corte Suprema israeliana congela l’attività d’indagine legata al 7 ottobre. Ma l’effetto reale è tutto politico, e per Benjamin Netanyahu (foto) suona come un campanello d’allarme che diventa sirena.

Perché? Perché la decisione non ferma un’inchiesta qualsiasi: ferma l’inchiesta che il governo poteva guidare nei tempi, nel perimetro e — soprattutto — nel bersaglio. In altre parole: interrompe la possibilità di trasformare una domanda nazionale (“com’è potuto accadere?”) in una risposta conveniente (“colpa loro”).

Il punto che brucia: chi decide dove finisce la responsabilità

La commissione oggetto dello stop era stata affidata al Controllore dello Stato, Matanyahu Englman. Nel dibattito israeliano, quel dettaglio pesa: per i critici, questa architettura avrebbe rischiato di produrre una conclusione “sbilanciata”, con un riflettore potente sui livelli operativi e un cono d’ombra sui piani alti della politica.

È qui che la Corte entra come un dito nell’ingranaggio: blocca audizioni e pubblicazioni, impedendo che circolino valutazioni anche parziali capaci di cristallizzare una versione “ufficiale” prima della resa dei conti istituzionale.

Per Netanyahu è un danno triplo

Primo danno: perde il regista del racconto. Se l’indagine procede dentro un recinto costruito dal governo, il governo può decidere quali domande diventano centrali e quali restano note a piè pagina. Con lo stop, quel recinto si apre.

Secondo danno: ritorna lo spettro di una commissione statale indipendente. In Israele, sulle grandi fratture nazionali la tradizione è chiara: un organismo pienamente autonomo, con un mandato robusto e un’autorevolezza che regge davanti al Paese intero. È l’opzione che una parte enorme dell’opinione pubblica chiede e che Netanyahu ha a lungo contrastato, temendo l’effetto boomerang.

Terzo danno: le responsabilità politiche tornano inevitabili. Un’eventuale commissione indipendente non può fermarsi alle procedure militari. Deve arrivare a scelte, strategie, valutazioni e “filosofie” di governo sul dossier Gaza.

La frattura istituzionale: governo, esercito, società civile

La partita non è solo tra maggioranza e opposizione. Dentro lo scontro ci sono anche pezzi dello Stato che, raramente, si ritrovano nello stesso campo: associazioni civiche e ambienti della difesa. Ed è un segnale politicamente micidiale: significa che il conflitto non riguarda più una semplice contesa parlamentare, ma il delicato equilibrio tra poteri.

“Serve un’indagine completa, indipendente e imparziale: solo una commissione statale può garantirla”.

Questa posizione, ripetuta dalle organizzazioni che da mesi insistono per un’inchiesta davvero autonoma, ha un messaggio implicito: la credibilità non nasce da un timbro, ma da chi sceglie i membri, da chi scrive il mandato e da chi può — o non può — mettere sotto esame la leadership politica.

Il nervo scoperto: la strategia verso Hamas e i canali finanziari

Nel dibattito pubblico israeliano torna con forza un tema: la linea di gestione di Hamas prima del 7 ottobre, compresa la questione dei flussi di denaro dal Qatar verso Gaza. Su questo punto le letture divergono, ma la sostanza politica è una: se l’indagine è davvero indipendente, dovrà valutare anche perché certe scelte sono state considerate “utili” o “tollerabili”, e quali rischi sono stati sottovalutati.

Non è solo un capitolo storico: è una lente su come la politica ha pesato — o non ha pesato abbastanza — nella catena che porta al disastro.

Il controcanto della maggioranza: “lasciateci indagare”

Dall’area di governo, la reazione si muove lungo due binari: difesa della legittimità della commissione e attacco alla magistratura accusata di interferire. La retorica è nota: la Corte, secondo alcuni esponenti della coalizione, starebbe “spostando” il potere decisionale dal voto popolare ai giudici.

“È una decisione distruttiva”, ha denunciato un esponente della maggioranza, chiedendo di non lasciare che la Corte detti l’agenda.

La vera domanda: chi scriverà la pagina più delicata

La scena, oggi, è questa: una Corte che congela, un governo che perde margine, un Paese che pretende risposte. E Netanyahu che si trova davanti a un bivio scomodo:

  • accettare una commissione indipendente e rischiare che l’indagine arrivi fino al suo perimetro decisionale;
  • insistere su soluzioni percepite come “politiche” e alimentare l’idea di un’operazione di facciata.

Per questo lo stop non è una notizia “in sé”. È un colpo di scena che cambia il quadro: sottrae a Netanyahu la leva più preziosa in tempi di crisi — il controllo della narrazione — e rimette al centro la domanda che nessuna strategia comunicativa può neutralizzare: chi ha sbagliato, dove e perché.

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