Coronavirus: l'Europa corre in aiuto dell'Italia, ma senza fretta

- di: Diego Minuti
 

L'Italia al cospetto dei partners europei oggi non è andata con il cappello in mano, ma con la consapevolezza che, dall'emergenza, si può uscire solo facendo appello alla solidarietà che, purtroppo, dalle parti di Bruxelles in questi tempi grami sembra essere ormai merce rara. Il Covid-19, sebbene gli indicatori (contagiati, vecchi e nuovi, decessi e assistiti in terapia intensiva) volgano da alcuni giorni al positivo, non sembra ancora intenzionato a mollare la presa sul nostro Paese in cui, paradossalmente, il numero elevatissimo di morti per il virus viene metabolizzato automaticamente solo perché in calo rispetto alle scorse settimane. E questo è un indice di come ormai l'assuefazione è nell'ordine delle cose. La gente si sta infatti abituando ad accettare quasi ineluttabilmente la situazione, mentre le frange più estreme (a destra e sinistra) del panorama politico, parlamentare e no, cercano di sfruttare a loro vantaggio la situazione.  Come era scontato, il Consiglio europeo di oggi è stato interlocutorio, come si dice per evitare di dire che non si è trovato un accordo. Né, oggettivamente, si poteva sperare che tale accordo si trovasse, vista l'enorme distanza tra le posizioni dei Paesi del Nord e di quelli del Sud dell'Unione, con i primi a sostenere il vessillo del rigore e i secondi a ribadire, per l'ennesima volta, che dalla crisi si esce tutti insieme, anche se ha colpito con maggiore violenza solo alcuni di essi, quelli dell'Europa mediterranea.  Definizione, quest'ultima, che i Paesi rigoristi sembrano ormai assimilare a quella di Stati spendaccioni, ma soprattutto che confidano subdolamente nella possibilità di scaricare sugli altri partners europei il loro enorme debito pubblico, reso ancora più profondo dalla crisi da epidemia. Il fronte dei ''duri e puri'' del Nord sembra però, ma solo apparentemente , perso l'azionista di riferimento, la Germania, che nelle ultime ore, se andiamo a leggere le parole pronunciate da Angela Merkel davanti al Bundestag alla vigilia della riunione del Consiglio europeo, ha aperto ad un atteggiamento solidale, certo più che nel recente passato. Il cancelliere tedesco ha sostanzialmente dato il suo appoggio per un piano di aiuti (o come essi saranno chiamati) che si estenda ai prossimi due anni. "Ma una cosa è già chiara - ha ammonito Angela Merkel - : dovremmo essere pronti, in uno spirito di solidarietà, a fare per un limitato periodo di tempo contributi molto diversi, ossia considerevolmente più alti, al bilancio europeo. Perché vogliamo che tutti gli Stati membri possano riprendersi economicamente". Chi ha visto in queste frasi una apertura di credito totale al piano di sostegno economico reclamato, in particolare, da Italia, Francia e Spagna, ha certamente peccato di eccessivo ottimismo, perché la Germania si è solo apparentemente scostata dalla sua linea, che non è certo quella di inondare i Paesi in difficoltà di aiuti disinteressati. Darà certo di più, ma a patto di avere garanzie, per la Germania di oggi, ma soprattutto per quella del futuro. Ma chi sperava, e lo ha fatto fino all'ultimo, che l'Europa ''ricca'' accettasse gli eurobond come strumento per puntellare le economie travolte dal Corona Virus, ha dovuto prendere atto che la distanza tra Nord e Sud dell'Unione c'è ancora, al di là del piano che si sta per varare. Si tratterà di quello che è stato definito un ''Recovery Plan'' che troverà attuazione nel bilancio europeo relativo al periodo dal 2021-2027. Un ''Recovery Plan'' capace di mobilitare almeno duemila miliardi di euro, da destinare a favorire la ripresa dei Paesi maggiormente coinvolti nel dramma da Covid-19 e, quindi, rimettere nel circuito lavorativo quanti più soggetti possibile e, soprattutto, in tempi brevi, anzi i più brevi. Ma, anche se il documento - non ancora ufficializzato - sarà fatto di parole e cifre, di prospettive e progetti, c'è da fare i conti con una realtà che è grave e che forse necessita di impegni a breve scadenza e non di lungo periodo, perché la situazione è ad un passo dal non ritorno. E di questo s'è fatto portavoce il presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli, che, con i 27 capi di Stato e di Governo (collegati in videoconferenza), ha avuto parole nette, inequivocabili contro il traccheggiare che sta distinguendo questa fase della vita dell'Unione: ''Per la ripresa non possiamo aspettare a lungo. I cittadini, le imprese, le comunità locali hanno bisogno di disporre fin da subito delle risorse per mettere in sicurezza il tessuto economico e sociale dei loro territori''. Ed ancora : ''Sarà importante spiegare bene ai nostri cittadini quanto è stato fatto dall'Unione europea e da tutti i Governi perché non si abbia la sensazione che da fuori qualcuno abbia aiutato più di noi. Auspico che tutti i Governi, sulla base dei meccanismi previsti dalla commissione europea, collaborino per proteggere lo spazio europeo e il nostro patrimonio''. ''Il mondo che uscirà dalla crisi - ha concluso Sassoli - sarà un mondo diverso. Il progetto europeo dovrà raccogliere questa occasione per dare il ritmo di questo tempo nuovo. È necessario più che mai che l'Europa sia all'altezza dei propri valori che sono, insieme allo stato di diritto, il fondamento del progetto comune dell’Unione europea''. In ogni caso, per avere le idee veramente chiare sull'Europa che sarà occorre aspettare ancora. Forse altre due settimane almeno, perché il Piano sarà ufficializzato dopo il 7 maggio, giorno in cui saranno rese note le previsioni di primavera per lo stato economico dell'Unione.L'Italia, comunque, qualcosa la porterà a casa. Non molto e in tempi non ancora certi, ma la porterà. Ora bisogna solo capire se e in che misura la nuova iniezione di denaro comunitario riuscirà ad aiutare il nostro Paese ad imboccare la strada giusta per rilanciarsi. Certo è comunque che, a guardarla dall'esterno, la strategia del Governo tutto appare fuorché chiara e determinata. L'ampiezza della crisi e il suo presumibile lungo periodo hanno indotto Giuseppe Conte ed i suoi compagni di strada (politica) ad avviarsi lungo un percorso che rischia di dimostrarsi pericoloso, se è vero che la pazienza della gente, tra isolamenti, chiusure, fallimenti e rischio di povertà vera (non quella fittizia che ha consentito a tanti di godere di anomale forme di sostentamento da parte dello Stato), è ormai al limite. L'Italia, questa Italia, ha bisogno di fatti concreti e non solo di dichiarazioni, che sono pure utili, ma che rischiano di fare la fine di quello che sputa contro vento. Perché ci sarà sempre chi si ricorderà di promesse e proclami rimasti sulla carta.  E soprattutto se ne ricorderà perché, come sempre, si troverà qualcuno pronto ad alimentare, per fini esclusivamente politici, il fuoco delle recriminazioni e della protesta.

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