Tra "warning" americani e coprifuoco: qualcuno vuole dare una mano al nostro turismo?

- di: Diego Minuti
 
L'allarme lanciato dal Dipartimento di Stato americano ai suoi connazionali, sconsigliandoli di viaggiare in Italia, per motivi sanitari (e qui si capisce) e di terrorismo (e qui resta tutto molto misterioso), non fa altro che rendere ancora più complessa l'interpretazione non di quanto accade nel nostro Paese, ma di quello che si sta facendo per aiutarlo ad uscire dalla crisi provocata dalla pandemia.
Questo tipo di ''warning'' è abbastanza frequente e, spesso, viene trasmesso in automatico, quando le condizioni generali di un Paese o di un'area inducono a qualche timore. Diverso è invece il caso delle ambasciate (come fanno le nostre con gli italiani iscritti all'Aire e, quindi, ufficialmente residenti all'estero) che, in caso di effettivo pericolo, inviano dei messaggi sul telefono ai connazionali mettendoli sull'avviso.

Ora, partendo dal presupposto che un ministero degli Esteri deve sempre e comunque, sulla base di notizie in suo possesso, mettere sull'avviso i suoi connazionali anche solo di un potenziale pericolo, sfugge il perché il Dipartimento di Stato, tra le cause poste alla base dell'allarme, abbia messo anche il terrorismo. Sebbene si sappia che in questo momento circa l'80 per cento dei Paesi siano considerati dagli Stati Uniti a rischio epidemia, l'inserimento dell'Italia in 'zona rossa' ha un qualche senso. Quel che non si capisce è l'altra motivazione, il terrorismo, che, per fortuna (ma soprattutto per l'opera dei nostri apparati di intelligence), almeno negli ultimi anni non ha colpito in Italia con la violenza con cui si è abbattuto, ad esempio, in Francia, Germania o Belgio. È grave se questo allarme terrorismo sia fondato e gli italiani ne apprendano l'esistenza solo per un messaggio del Dipartimento di Stato americano; sarebbe gravissimo se questo 'warning' sia stato generato da un qualche algoritmo e quindi senza motivi fondati.

Comunque, è un'altra brutta batosta per il settore turistico italiano che sperava che riprendesse il flusso di arrivi dal mercato americano, che forse non è quello che spende di più, ma che è il più importante per i numeri.
Quindi ancora notizie non positive per il settore alla base della piramide economica di gran parte del Paese, un turismo che, se va avanti, fa marciare la macchina nazionale.
Il nostro ragionamento non sposa politicamente le tesi dei sostenitori dell' ''apriamo tutto, a prescindere'' o di quelli che invece sostengono che la situazione generale non consente di scostarsi dalle chiusure o, come si sta manifestando in questi giorni, da riaperture ''ragionate''.

Rileviamo soltanto che il turismo di casa nostra, proprio in queste settimane in cui in altri Paesi si stanno spalancando le porte ai visitatori stranieri, è fortemente penalizzato, oltre che dalla situazione sanitaria generale, anche dalle misure che il governo ha deciso di assumere. La decisione di fare scattare il coprifuoco alle 22 (e non alle 23, come richiesto non solo da alcune forze politiche, ma soprattutto dai ristoratori) non modifica di molto il quadro generale, ma certo dà l'impressione che le istanze degli operatori di pubblici esercizi siano sacrificate sull'altare del rigore. Che, come si potrebbe dire, è cosa buona e giusta, ma che diventa poco comprensibile se tutto si basa sulla pertinacia non sostenuta da valide motivazioni scientifiche.

Questa determinazione a mantenere le vecchie fasce orarie ha rischiato di fare saltare il governo (cosa legittima quando non si hanno le stesse idee su come risolvere un grave problema), ma soprattutto ha concesso il palcoscenico a chi, tenendo un piede in due staffe, dice quello che la gente vuol sentire e non ciò che forse è più giusto. Spostare il coprifuoco dalle 22 alle 23, per quello che dice la ragionevolezza, non avrebbe certo aggravato il rischio di contagio, ma sicuramente avrebbe invogliato la gente a stare di più fuori, a ridare ossigeno ad un settore che si sente soffocato da misure nelle quali non crede più.
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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