Cop29, Legambiente: l’Italia scivola nella classifica delle performance climatiche, nessun progresso importante nel 2024

- di: Barbara Bizzarri
 

L’Italia si conferma in forte ritardo nel fronteggiare la crisi climatica. Secondo l’ultimo rapporto del Climate Change Performance Index (CCPI), presentato oggi alla COP29 di Baku e realizzato da Germanwatch, CAN, e NewClimate Institute in collaborazione con Legambiente, il Paese mantiene il 43° posto su 63 esaminati, più l’Unione Europea. Si tratta di una posizione bassa, che conferma lo stallo rispetto al 44° posto dello scorso anno e sancisce l’inadeguatezza delle politiche climatiche italiane.

Indicatori critici per l’Italia: emissioni e politica climatica

Le prestazioni climatiche dei Paesi sono misurate rispetto agli obiettivi dell’Accordo di Parigi, considerando quattro parametri principali: trend delle emissioni (40%), sviluppo delle rinnovabili (20%), efficienza energetica (20%) e politiche climatiche (20%). L’Italia mostra criticità in due ambiti specifici: è 38ª per riduzione delle emissioni climalteranti e scivola al 55° posto per la politica climatica nazionale, un indicatore che riflette scelte giudicate poco ambiziose.

Il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC), secondo il rapporto, rimane privo della visione necessaria per ridurre le emissioni in modo consistente. Le proiezioni attuali indicano una riduzione del 44,3% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990, un dato inferiore all’obiettivo del 51% previsto dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e ben lontano dalla soglia del 65% ritenuta necessaria per contenere il riscaldamento globale entro 1,5°C.

Secondo Climate Analytics, l’Italia potrebbe raggiungere una riduzione del 65% entro il 2030 aumentando la quota di rinnovabili al 63% nel mix energetico complessivo e al 91% nel mix elettrico, per poi arrivare al 100% di rinnovabili nel settore elettrico entro il 2035. Una transizione più rapida potrebbe consentire il phase-out del carbone entro il 2025 e del gas fossile entro il 2035, rendendo possibile la neutralità climatica già nel 2040.

Il confronto internazionale: i migliori e i peggiori

Nessun Paese raggiunge quest’anno le prime tre posizioni del CCPI, a dimostrazione del fatto che nessuno si è avvicinato in modo significativo agli obiettivi climatici richiesti. La classifica è guidata dalla Danimarca (4° posto), che primeggia per la riduzione delle emissioni e lo sviluppo delle rinnovabili, seguita da Olanda (5°) e Regno Unito (6°), quest’ultimo in netta risalita rispetto al 20° posto dello scorso anno grazie a politiche climatiche più ambiziose.

In fondo alla classifica si trovano i Paesi esportatori di combustibili fossili: Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Iran, penalizzati da politiche incentrate sullo sfruttamento delle fonti fossili.

La Cina, principale responsabile delle emissioni globali, scivola al 55° posto, perdendo quattro posizioni rispetto all’anno precedente. Nonostante il rapido sviluppo delle rinnovabili, il ricorso massiccio al carbone continua a far crescere le sue emissioni. Negli Stati Uniti (57° posto), invece, l’approccio alla politica climatica è rallentato, con difficoltà a consolidare i progressi avviati dall’amministrazione Biden.

All’interno dell’Unione Europea (17° posto), le prestazioni restano mediamente migliori rispetto alla media globale, con 16 Stati membri nella parte alta della classifica. Tuttavia, anche qui emergono criticità, con la Germania (16°) che perde due posizioni a causa dell’inazione nei settori dei trasporti e degli edifici.

Le critiche di Legambiente

Secondo Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, la politica energetica italiana continua a essere miope e fortemente dipendente dalle fonti fossili: «L’Italia non solo non riduce le bollette pagate da famiglie e imprese, ma crea nuove dipendenze energetiche da Paesi politicamente instabili. Intanto, la crisi climatica accelera, con eventi meteo estremi che colpiscono duramente il nostro tessuto produttivo e agricolo».

Ciafani sottolinea l’urgenza di un cambio di passo: «Se l’Italia vuole risalire nella classifica delle performance climatiche e rispettare il Green Deal europeo, deve puntare su rinnovabili, efficienza energetica e innovazione tecnologica, abbandonando fonti fossili e nucleare. Solo così sarà possibile ridurre le emissioni del 65% entro il 2030».

La sfida della COP29

Nel contesto della COP29, il tema della finanza climatica assume un ruolo cruciale per i Paesi in via di sviluppo, spesso vittime degli impatti più devastanti del cambiamento climatico. Mauro Albrizio, responsabile dell’ufficio europeo di Legambiente, oltre a sottolineare che l’Italia rischia di perdere la sfida della transizione climatica ed energetica se non adotterà politiche più coraggiose e in linea con gli obiettivi globali, evidenzia la necessità di un accordo ambizioso per mobilitare almeno 1.000 miliardi di dollari l’anno in aiuti pubblici per la decarbonizzazione, l’adattamento e la ricostruzione economica delle comunità vulnerabili: «Questi fondi – spiega Albrizio – possono essere resi disponibili grazie alla tassazione delle attività ad alto impatto climatico e al phase-out dei sussidi alle fonti fossili, che mobiliterebbero fino a 5.000 miliardi di dollari l’anno».

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