Chi pagherà per la morte di Vanessa?
- di: Diego Minuti
Se Gabriél Garcìa Marquez avesse preso un centesimo per ogni volta che la pigrizia ha spinto un giornalista a definire ''cronaca di una morte annunciata'' il resoconto di un omicidio che certo si poteva evitare, il controvalore avrebbe superato abbondantemente l'ammontare del premio Nobel. Evitiamo, quindi, di definire così l'uccisione di Vanessa Zappalà, la ragazza assassinata ad Aci Trezza a colpi di pistola dal suo ex fidanzato, ma anche questa volta è il caso di porsi degli interrogativi su come viene amministrata la giustizia nel nostro Paese, dove troppo spesso si concede il credito della possibile riabilitazione a chi ha sbagliato e non sembra proprio mostrare ravvedimento.
L'assassino si chiamava Antonino Sciuto e, se le cose riferite dai familiari e dagli amici della ragazza appena si avvicinano al vero, era una bomba ad orologeria, un meccanismo in cui il veleno viene rilasciato lentamente ed inesorabilmente, una miccia talmente corta da provocare l'esplosione non appena accesa.
Per lui (che aveva un matrimonio fallito alle spalle, con il corollario di due figli di pochi anni che Vanessa amava come fossero i suoi) la ragazza era diventata una ossessione, condita da violenze continue che avevano spinto Vanessa a lasciarlo, dopo una breve convivenza in cui Sciuto aveva mostrato il suo lato oscuro. Perché lui la considerava un oggetto, da manipolare e di cui abusare a suo piacimento.
Una scelta - quella della ragazza di lasciare il compagno violento - che, come era temuto da tutti, non ha affatto attenuato il legame morboso che lui aveva nei confronti di Vanessa. Dopo la separazione, sono cominciati i pedinamenti, gli appostamenti davanti al panificio dove la ragazza lavorava, gli insulti urlati per strada, le minacce nemmeno velate. Sono arrivati i geolocalizzatori piazzati sulle autovetture di Vanessa e del padre; sono arrivate persino le intrusioni in casa della ragazza, utilizzando un mazzo di chiavi che non aveva restituito dopo la rottura della relazione, per raggiungere un sottotetto da cui spiare le conversazioni dell'ex fidanzata sfruttando la canna fumaria di un camino.
Non sono semplici sospetti, perché sono stati verificati e confermati dai carabinieri, che hanno redatto un rapporto così dettagliato da spingere il magistrato ad emettere un provvedimento d'arresto per Sciuto, concedendogli comunque il beneficio della reclusione domiciliare.
Ed è da qui che bisogna partire con gli interrogativi, perché, al di là del fatto che le carceri sono sovraffollate e che ci finiscono sono coloro che sono arrestati per gravi motivi, c'è da chiedersi se il magistrato si è soffermato sul profilo psicologico di un uomo instabile, capace di perseguitare la ex fidanzata sin dentro casa. Il giudizio sulla pericolosità di un soggetto non può essere condizionata dalle sue professioni di pentimento, come crediamo abbia fatto Sciuto (perché sarebbe ben difficile pensare che, se avesse fatto il contrario, non sarebbe finito in una cella).
Ma c'è di più perché, nonostante la gravità dei comportamenti di Sciuto, sintetizzati nell'accusa di essere lo stalker della sua ex fidanzata, è stato scarcerato, dandogli un lasciapassare verso la tragedia.
Verrebbe da dire: guai se il gip che lo ha scarcerato lo ha fatto solo sulla presunzione che Sciuto non avrebbe reiterato i suoi comportamenti. Ma come lo si è potuto pensare sapendo come si era comportato nei confronti della fidanzata, bersagliata da inequivocabili minacce? Come quella che, in modo puerile, Sciuto ha pubblicato sul suo profilo Facebook, celebrando la vendetta con una frase dello Scarface nella versione di Al Pacino. Ma bisogna essere corretti nell'informare, quindi occorre precisare che, scarcerandolo, il gip ha imposto a Sciuto un divieto di avvicinarsi a Vanessa di cui l'assassino ha fatto un uso escatologico che non ci attardiamo a spiegare. Una misura di prevenzione, quella del divieto di avvicinarsi all'oggetto della loro passione tossica, che gli stalker ignorano sistematicamente e che forse dovrebbe essere ripensata, magari ricorrendo a più rigorose forme di controllo.
Il bilancio di questa vicenda sta tutto qui: una ragazza di appena 26 anni uccisa, davanti agli amici con i quali stava trascorrendo una serata in allegria sul lungomare di Aci Trezza; il suo boia che si è impiccato, non certo per pentimento; due bambini rimasti senza un padre; la famiglia della vittima che si pone molti perché, destinati a restare senza risposte; un magistrato che, se non davanti ai suoi collegi, ma di certo davanti alla sua coscienza, si chiederà se il percorso che lo ha portato alla scarcerazione di Sciuto - prodromo della tragedia - poteva avere un epilogo diverso.