Conte in Parlamento: perché sì, perché no

- di: Redazione
 
Quando si presentò davanti alla platea nazionale, si definì, in termini di promessa, probabilmente perché imbeccato da qualcuno, come il futuro avvocato del popolo italiano. Una affermazione molto impegnativa perché pronunciata da chi, in quel momento, rappresentava una determinata fazione politica (un movimento che doveva spaccare il mondo e che dal mondo s'è fatto spaccare) e, quindi, per definizione ''parte'' e ''terzo'' in un'eventuale controversia. Ma queste sono solo fisime da leguleio e quindi diamo a Giuseppe Conte il merito di avere detto, sin dall'inizio, quale era il ruolo che intendeva ritagliare per sé stesso.

Conte potrebbe entrare in Parlamento grazie alle elezioni suppletive per indicare il sostituto di Gualtieri

Ma, da quel maggio del 2018, molto è cambiato e il panorama politico di oggi non è certo quello che accolse con curiosità e aspettative il giurista che i Cinque Stelle avevano catapultato, dalla scrivania di apprezzato avvocato soprattutto civilista a quella di principale inquilino di palazzo Chigi dove, lo si vede anche dall'esterno, gli infissi sono vecchiotti e, quindi, espongono a spifferi d'ogni natura.
Oggi Conte è il leader di un movimento che perde, a cadenza sin troppo ravvicinata, pezzi anche importanti. Tanto che le notizie/minacce di scissioni o semplici uscite stanno falcidiando una formazione politica che ha perso, da tempo, la sua (presunta) forza propulsiva e quindi ''rivoluzionaria'' per accomodarsi in comode e fruttuose posizioni.

Ma Giuseppe Conte - che deve fare i conti con i suoi rissosi compagni di partito - si trova in una oggettiva difficoltà, legata al fatto di non ricoprire alcuna carica pubblica, ovvero quel che fa per i Cinque Stelle non gli fa entrare in tasca nulla. Si dirà: e il famoso spirito di servizio che fine ha fatto? Interrogativo al quale si potrebbe rispondere formulandone un altro: e di cosa campa, Conte, di aria?

Già, perché, al di la degli ideali e dei paroloni e concetti di cui ci si può riempire la bocca, c'è la vita ordinaria, quella che si conduce anche quando, a sera, i riflettori si spengono. Per questo per Conte si prospetta la concreta possibilità di entrare in parlamento grazie alle elezioni suppletive che dovranno indicare il sostituto del neosindaco della capitale, Gualtieri. A pensarci, non c'è proprio niente di scandaloso in questo: la politica aristocratica, quella dell'antica Grecia, dove si praticava solo se, per censo, si era superiori alla seduzione del vile denaro, è un ricordo sbiadito e chi la fa a tempo pieno - come crediamo faccia Conte, la cui giornata ha sempre 24 ore, rendendogli difficile fare altro che non il capo dei Cinque Stelle - non può limitarsi ad erodere i suoi risparmi, pure se ingenti.

Ma, in ogni caso, l'eventuale candidatura di Conte qualche retrogusto amarognolo lo lascia, perché significherebbe la spallata definitiva a quel ruolo ''romantico'' che si era disegnato, dicendo di essere al servizio degli italiani, quasi che fosse sceso dall'Olimpo solo per dare una mano ai connazionali vessati, tartassati, umiliati dalla casta.
Con l'idea di succedere a Gualtieri, Giuseppe Conte torna prepotentemente tra di noi, a fare parte di un consesso normale fatto di uomini e donne che - al 99,99 per cento - devono lavorare per sbarcare il lunario. Certo Conte potrà sempre dire che la politica è meglio farla da dentro il Palazzo (soprattutto se, come nel suo caso, si è stati brutalmente sfrattati), però, ci si consenta di dirlo, la sua candidatura farà svaporare, semmai c'é stata, quell'aura di romanticismo di cui s'era accreditato.
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