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Clima 2040, l’Ue non è più unita: nella bozza danese entra la revisione dei target

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Clima 2040, l’Ue non è più unita: nella bozza danese entra la revisione dei target

Non è più un negoziato tecnico sul clima, è ormai uno scontro politico sul modello industriale europeo. La presidenza danese ha inserito nella bozza di compromesso una clausola che cambia il baricentro della transizione: la Commissione Ue rivaluterà ogni due anni la traiettoria per il taglio del 90% delle emissioni entro il 2040, con la possibilità – nero su bianco – di rivedere l’intero target se l’impatto economico o geopolitico lo renderà necessario.
Che cosa significa? Che il 90% resta sulla carta, ma per la prima volta non è intoccabile. Il clima non è più un “vincolo”, diventa una variabile negoziabile.

Clima 2040, l’Ue non è più unita: nella bozza danese entra la revisione dei target

Il compromesso nasce perché la transizione verde, nella sua prima fase, ha toccato duramente i settori energivori: acciaio, auto, chimica di base. E col nuovo scenario geopolitico – concorrenza cinese, sussidi Usa dell’Inflation Reduction Act, energia più cara in Ue rispetto al resto del mondo – il dossier climatico non è più solo ambientale. È questione di competitività.
Da qui l’esigenza di alcuni governi di “riaprire il coperchio” prima che la curva 2035-2040 provochi shock sociali e produttivi.

Gli schieramenti: Nord spaccato, Sud prudente, Est ostile
Il blocco favorevole alla revisione periodica è eterogeneo: Paesi dell’Est, parte della Germania industriale, Italia e – più silenziosamente – Belgio e Austria. Sul fronte opposto nordici e Benelux, convinti che l’arretramento climatico indebolisca la leadership europea sul green deal. La Francia mantiene una posizione tattica: non vuole arretrare sui target, ma chiede “flessibilità di strumento” (cioè più spazio al nucleare e meno vincoli rigidi).

E l’Italia?
L’Italia gioca su due tavoli. All’esterno parla il linguaggio dell’impegno climatico – “neutralità sì, ma credibile” – ma al tavolo tecnico chiede tempi più lenti e criteri industriali. Non è no-climate: è no-rigidità. La linea è evidente: non disfare gli obiettivi, ma non trasformarli in un vincolo che brucia fabbriche. È l’equilibrio “ambivalente” che Meloni usa anche in politica interna: sostenere la transizione, ma non pagarla tutta subito.

La clausola biennale: perché è il vero cambio di paradigma
La possibilità di rivedere il target ogni due anni non è dettaglio procedurale: è l’apertura a una transizione adattiva, condizionata dallo stato dell’economia. Significa che il clima non ha più priorità automatica sulle variabili produttive. Se la competitività frena, la traiettoria può essere riscritta. È la fine della logica “prima riduci, poi compensa”.
Per la prima volta il principio implicito diventa il contrario: prima verifichi, poi applichi.

Verso il Consiglio Ambiente
Il testo sarà discusso dagli ambasciatori per preparare l’accordo politico. Ma la battaglia vera si consumerà sul linguaggio finale: se resterà la formulazione “rivedere il target”, l’Europa riconoscerà che il 2040 non è più un traguardo fisso, ma terreno di aggiustamento. Se verrà annacquata, tornerà a essere un faro vincolante.

La posta in gioco
Qui non si tratta più di pannelli e auto elettriche: si tratta del modello di sviluppo. La transizione è entrata nel suo punto critico: o consolida consenso sociale e industria – oppure implode perché diventa insostenibile economicamente.
Per l’Italia la flessibilità è ossigeno: permette di restare dentro il perimetro europeo senza pagare per prima la rigidità delle regole. Ma la finestra è politica, non tecnica. La partita resta aperta.

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