Sulla coda di una lunga e caldissima estate, l’autunno è arrivato e si prospetta denso di attese e interrogativi. Progettare un viaggio per la nuova stagione è un modo per riprendere gradualmente la consueta routine, mantenendo viva la curiosità e la voglia di cultura. Scopriamo dunque luoghi dal fascino insolito e misterioso, frutto di menti illuminate che hanno perseguito ideali spirituali, artistici ed estetici assolutamente originali.
Città ideali, teatri di pietra e dimore fiabesche
Si tratta di architetture inconsuete, bizzarre e pregiate custodite in angoli appartati della nostra Penisola e immerse in ambienti naturali di grande rilievo. Tra i tanti luoghi a disposizione visitiamo La Scarzuola in provincia di Terni, il Teatro Andromeda nell’agrigentino e la Rocchetta Mattei nel bolognese.
La Scarzuola
Una Città Ideale fra spiritualità, materia e magia
La Scarzuola è fatta per le formiche, le lucertole al sole o per permettere alle lumache di far dei percorsi argentei sulle pietre, ai bachi da seta per star nei loro bozzoli e produrre i loro nobili fili, alle api per accogliere in alveari architettonici il loro miele, alle farfalle, ai grilli, alle cicale, anzi alle ciandelline, le tante del sole adoratrici – Tomaso Buzzi
Un luogo fuori dal tempo, intriso di ispirazioni astronomiche, di dettagli irriverenti e di evocazioni di gusto surrealista. Concepita come “macchina teatrale” da Tomaso Buzzi – uno dei principali designer e architetti del Novecento – la Scarzuola racchiude sette teatri culminanti in un’acropoli, con scale che puntano in tutte le direzioni. Proporzioni bizzarre, statue e mostri in pietra, edifici archetipici e simboli magici fanno di questo luogo un’opera unica e straordinaria. Progettata da Tomaso Buzzi fra il 1958 e il 1978, la Scarzuola è stata completata e trasformata dal nipote Marco Solari che vi ha apportato nuove energie, diventandone custode, anfitrione e anima.
“Ho ritrovato me stesso nel trasformare la Scarzuola. Lei è stata la mia maestra. Mentre io la mettevo a posto, Lei faceva uscire il giullare che sono sempre stato e mi ricordava chi ero”.
Inafferrabile ed enigmatica, questa Città Ideale si trova a Montegiove, nel Comune di Montegabbione, in provincia di Terni, e sorge accanto a un complesso conventuale fondato da San Francesco d’Assisi nel 1218. Si narra che qui abbia piantato un cespuglio di lauro e uno di rose facendo scaturire una fonte d’acqua che non ha mai smesso di scorrere. Il luogo sacro deve il suo nome a una pianta palustre, la Scarza, che fu utilizzata dal Santo per costruirsi una capanna.
La relazione simbolica che lega il convento (la città sacra) alle strutture teatrali (la città profana) dà vita a un percorso iniziatico e alchemico ricco di segreti, codici e citazioni. Si passa dall’anfiteatro che rivela l’ostrica e la perla, si giunge alla Nave e alla Grande Madre, passando per la bocca di Giona, risalendo le 12 fatiche di Ercole, arrivando alla porta dell’amore, fino al cipresso fulminato da Giove e alla piramide di cristallo custodita dalla torre di Babele. È un viaggio fisico ma anche interiore, scandito dall’orologio dell’uroboro che scorre al contrario, dove si incontrano fiori di pietra, occhi, animali e labirinti in uno scenario teatrale che è metafora della vita.
In corrispondenza della suggestiva “Nave di pietra” si apre un grande anfiteatro popolato da allegorie, come quelle della Luna e del Sole. All’interno dell’arena, al centro del labirinto ricoperto d’erba, si leva un obelisco, riferimento colto all’Omphalos greco. Ed ecco apparire a sud un mostro dalle fauci spalancate (rappresentazione delle paure umane) mentre dal lato opposto un occhio scolpito ci osserva. L’atmosfera è pervasa da una natura silente e in eterno movimento, l’acqua si mescola al tufo dando vita a piante e muschi, si diffondono sottili vibrazioni energetiche in un’eco musicale ipnotica.
La Nave, che imponente si allunga da ovest a est, segna il confine tra la dimensione reale e onirica; in verticale svettano la Torre dei Venti, la piramide, l’arco di trionfo e gli obelischi, per poi farci ritrovare il contatto con la terra nella piazza ottagonale dalla forma di tartaruga. La stratificazione di edifici ed elementi decorativi mette in scena una rappresentazione della dicotomia vizio/virtù, il primo testimoniato dalla zona delle carceri e la seconda dalla piramide di cristallo, in una ricerca costante di Unità.
Il continuo cambio di prospettiva risultante dalla combinazione di scale e piani sfalsati si traduce in una dualità armonica, dove forme geometriche, simboli musicali e architetture ci invitano a scoprire gli enigmi della vita e dell’aldilà; la Grande Madre, una gigantesca statua femminile acefala, evoca la figura ancestrale presente in molteplici culture.
La Scarzuola è un’opera solare, dove arte, natura e magia si fondono e danno vita a un gioco di simmetrie, e la presenza dell’acqua nelle sue varie forme crea un flusso energetico costante che ci sospinge verso i nostri sogni.
Sotto le stelle del Teatro Andromeda
L’illuminata opera di Lorenzo Reina
Una notte chiesi al cielo di non farmi mai sazio della mia arte e sono stato ascoltato. In tanti mi chiedete come è nata l’idea del teatro. È scritto che ‘lo Spirito, come il vento, soffia dove vuole’ – Lorenzo Reina
Non si capita per caso al Teatro Andromeda, ma arrivati a Santo Stefano Quisquina, nell’agrigentino, bisogna percorrere una strada che sale per quasi 1000 metri fino al luogo che un tempo era solo pascolo per pecore. Proprio un giovane pastore, Lorenzo Reina, alla fine degli anni ’70 scopre questo sito abbarbicato sui Monti Sicani e rimane affascinato dalla sua atmosfera sospesa e dall’ambiente incontaminato. Reina, oltre ad amare profondamente il suo lavoro di pastore, dimostra fin da giovane una vocazione per la scultura, che lo porta a scolpire oggetti di alabastro nei momenti di riposo, e poi a interessarsi all’arte, alla mitologia, all’astronomia. In questo luogo denso di spiritualità, dove si può toccare il cielo con un dito, Reina inizia a costruire il suo teatro di pietra. Scopre che la Galassia M31 della Costellazione di Andromeda nell’arco di quattro miliardi e mezzo di anni si sarebbe unita con la nostra galassia e ne rimane fortemente suggestionato. Comincia ad alzare un recinto sacro lavorando 108 blocchi di pietra, tanti quante le stelle visibili della Costellazione di Andromeda, e ne riproduce fedelmente la posizione nella galassia.
Per arrivare al Teatro si deve attraversare un’area naturale costellata da suggestive installazioni artistiche: ovunque si percepisce il genius loci, che ci accompagna in uno struggente viaggio interiore. La magnifica scultura di Giuseppe Agnello, “Icaro morente”, riposa fra le sterpaglie in un sonno senza ritorno, la potente “Imago della parola”, una maschera che al tramonto del solstizio d’estate lascia passare attraverso la bocca i raggi del sole, si fa parola di luce e di buona speranza. Un grande e suggestivo mascherone in pietra colorata evoca un semidio sumero sceso sulla Terra 450.000 anni fa in Mesopotamia, e la “porta di Lazarus” rappresenta la porta della resurrezione nel giorno del solstizio d’estate.
Poco più avanti, attraversando la piccola e stretta porta del Teatro, ci troviamo proiettati in un’altra dimensione, in uno spazio emblematico in cui regna il silenzio interrotto solo dal suono dei gong e da musiche dalle vibrazioni celestiali. I 108 cubi sparsi davanti al proscenio formano un cerchio e invitano ad accomodarsi, scegliendo ognuno la propria stella e lasciandosi pervadere dall’energia del cosmo. Da qui si può osservare il mare, a volte l’isola di Pantelleria, e abbandonare lo sguardo all’infinito. La pace regna, il mito è tangibile, l’universo è in divenire e l’eternità domina su tutto.
Quest’opera, che è in continuo divenire da oltre trent’anni, è particolarmente emozionante al tramonto, quando il sole viene incorniciato dal portale sullo sfondo del proscenio. Di notte le stelle si congiungono idealmente ai cubi in pietra, e in corrispondenza del solstizio d’estate l’ombra del sole proietta un cerchio che coincide con lo spazio nero circolare al centro del palco. Questo teatro en plein air è perfetto per accogliere eventi speciali come performance teatrali e artistiche, dove la natura e l’arte diventano protagonisti assieme agli attori.
Lorenzo Reina ha partecipato alla XVI edizione della Biennale Internazionale di Architettura di Venezia e oggi il Teatro Andromeda attira visitatori da ogni parte del mondo.
La Rocchetta Mattei
Un eclettico castello da fiaba
che divenne clinica omeopatica
Un labirinto di torri, scale e scalinate, di raffinate stanze e sontuosi saloni. Un avvicendarsi di stili e citazioni al Medioevo, al Liberty, al Rinascimento, con una predilezione per le architetture e i motivi arabo-moreschi, a volte abbinati a simboli cristiani.
Ci troviamo sull’Appennino bolognese ma potremmo essere in un fantasy o su un set cinematografico. Non è un caso, infatti, che anche il cinema si sia servito di questo gioiello adagiato sui monti e sovente ne abbia fatto una location per i propri film.
Aleggia ovunque un’aria di mistero che provoca una sensazione di straniamento ma che stimola la curiosità, grazie alle numerose espressioni artistiche che convivono in bizzarra armonia, lasciando alla nostra contemplazione soluzioni tecniche e decorative estremamente originali, variopinte e multimateriale. Questo edificio mozzafiato non è solo uno spettacolo estetico ma anche un luogo dalla peculiare storia umana e scientifica, che vede nel Conte Cesare Mattei il suo artefice.
A Bologna, nella metà del XIX secolo Cesare Mattei frequentava personaggi come Paolo Costa, Marco Minghetti e Gioacchino Rossini, ma dopo le delusioni politiche e sociali, e la morte dell’amatissima madre, si ritirò nel suo “rifugio” dove iniziò una nuova vita. Infatti, dove si trovavano le rovine della Rocca di Savignano il Conte iniziò a edificare la Rocchetta Mattei, ispirandosi a correnti artistiche e architettoniche eterogenee, e a suggestioni di paesi remoti.
L’originalità della costruzione iniziò ad attirare personalità da ogni parte del mondo, fra i quali Re Ludwig di Baviera, lo Zar Alessandro II e la Principessa Sissi, che lì si narra si siano recati non solo per ammirare la bellezza e la stravaganza del luogo, ma anche per accedere alle cure mediche del Conte Mattei. Proprio alla Rocchetta, infatti, Mattei sperimentò una nuova medicina basata su teorie paramediche e sull’omeopatia di Hahnemann. Chiamò la sua medicina “elettromeopatia” ed ebbe tanto successo da distribuire i suoi preparati, ricavati dall’estrazione dei principi attivi di piante officinali, in ben 107 punti disseminati in tutto il mondo. Sebbene questa medicina gli abbia meritato una fama internazionale (il Conte viene citato anche da Dostoevskij ne I fratelli Karamazov), oggi viene applicata solo in India.
Mattei dedicò tutta la sua vita alla ricerca scientifica e alla produzione dei suoi farmaci, e parallelamente condusse i lavori per la creazione della Rocchetta. Dopo di lui, il fedele collaboratore Mario Venturoli, nominato suo erede, proseguì i lavori nell’edificio; in seguito, la proprietà fu venduta a Primo Stefanelli, un commerciante di Vergato, ma nel 1986 fu chiusa e rimase fino al 2005 in stato di abbandono, per poi essere acquistata dalla Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna.
Questo meraviglioso castello è popolato da statue ottocentesche, telamoni neomedievali, decorazioni liberty, creature mostruose e animali fantastici, in legno, stucco, cemento, carta pressata e materiali preziosi, e contiene numerose opere di artisti, fra cui quelle dei fratelli Dalle Masegne e di Jacopo della Quercia. Pur non potendo sintetizzare in poco spazio tutti i tesori contenuti nella Rocchetta, è doveroso segnalare alcuni degli ambienti più significativi, come il maestoso Cortile centrale, la Sala dei Novanta – dove il geniale padrone avrebbe voluto festeggiare i suoi novant’anni circondato da 89 novantenni – e il fiabesco Cortile dei Leoni, ispirato all’Alhambra di Granada, con una magnifica fontana centrale racchiusa in un quadriportico decorato finemente con stucchi e piastrelle sivigliane. Tra scalinate e scale a chiocciola, illusioni ottiche e cromie abbaglianti, la Rocchetta accoglie anche un bellissimo cortile pensile con balaustre decorate a motivi fitomorfi, da dove si godono viste sulle torri e un panorama mozzafiato sugli Appennini.
Di grande valore artistico è la Sala della musica, la cui struttura neomedievale, con le colonne ornate dagli stemmi nobiliari del Conte, venne decorata in stile liberty da Mario Venturoli. Qui si può ammirare e ascoltare una selezione della vasta collezione di strumenti musicali meccanici di Marino Marini. Dal vestibolo della Sala dei Novanta si accede all’iconica Cappella che unisce elementi arabo-islamici, ispirati a quelli della Mezquita di Cordova, ad altri della tradizione architettonica medievale italiana. Nella loggia sopra l’altare si trova la Tomba del Conte, dove una splendida maiolica riporta le stelle classificate secondo le gerarchie astrali, con due iscrizioni nei cartigli che ricordano la grandezza del Creato e dell’Universo.
La Sala rossa, o studio del conte, è dominata da uno splendido soffitto con archi lignei ed elementi piramidali in carta pressata, che ricordano le muqarnas arabe, e nell’alcova è collocato un Orchestrion della collezione di strumenti musicali meccanici Marini. I motivi dipinti sulle pareti dell’alcova furono realizzati per il set dell’Enrico IV di Marco Bellocchio.
Grazie agli imponenti lavori di restauro condotti dalla Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna e la collaborazione con il Comune di Grizzana Morandi, la Città metropolitana di Bologna e l’Unione Comuni Appennino Bolognese, questo capolavoro dell’arte eclettica ha ritrovato il suo splendore originario e oggi è finalmente tornato ad essere il luogo di cultura che il suo fondatore desiderava che fosse, aprendo le sue porte a tutti.