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"La città proibita": il kung fu parla romano

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
'La città proibita': il kung fu parla romano

Se qualche anno fa mi avessero detto che il cinema italiano avrebbe prodotto un film d’azione con arti marziali credibile, avrei riso. E invece, eccomi qui, alla fine della proiezione, con l’adrenalina ancora in circolo e un pensiero fisso in testa: forse dovrei iscrivermi a un corso di kung fu, giusto per farmi trovare pronta alle sfide della vita. Perché "La città proibita" funziona e funziona benissimo.

"La città proibita": il kung fu parla romano

Gabriele Mainetti ha fatto qualcosa di raro nel nostro cinema: ha creduto in un’idea apparentemente folle e l’ha trasformata in un’opera solida, spettacolare e assolutamente credibile. Non si tratta di una semplice imitazione del cinema di Hong Kong o di un tentativo di portare in Italia le atmosfere dei blockbuster d’azione americani. Qui c’è un’identità forte, un’anima profondamente radicata nella realtà romana, un mix perfetto tra narrazione, azione e costruzione dei personaggi.

La chiave del successo sta nei dettagli. Mainetti non si è limitato a inserire scene di combattimento per stupire lo spettatore, ma ha costruito coreografie precise, reali, potenti. Niente montaggi epilettici per nascondere la scarsa preparazione degli attori: qui i colpi arrivano per davvero. La scelta di Yaxi Liu, stuntwoman professionista, nel ruolo di Mei è vincente. I suoi movimenti sono credibili, letali e fluidi, e la sua presenza scenica è tale da rendere il suo personaggio più di una semplice eroina d’azione. C’è una storia dietro quei pugni, un passato che si intuisce ma che non viene mai banalizzato. E poi c’è Roma. Non quella da cartolina, ma quella che si sporca le mani, che cambia e si mescola. L’Esquilino diventa un’arena, un crocevia di culture e storie che si intrecciano in modo naturale. Mainetti non si limita a usare il quartiere come sfondo, ma lo rende parte integrante della narrazione.

La città proibita non è solo un film di botte – anche se le botte sono spettacolari – ma una storia che parla di radici, di appartenenza, di identità. Il cast arricchisce ulteriormente il tutto, con Sabrina Ferilli nel ruolo di Lorena, madre di Marcello e figura centrale nel ristorante di famiglia, e Marco Giallini, che interpreta Annibale, un boss locale con sfumature comiche e drammatiche. Entrambi danno ulteriore spessore alla narrazione, rendendo la storia ancora più coinvolgente. La colonna sonora, un mix tra classici italiani e sonorità più moderne, crea un contrasto interessante che funziona perfettamente. Sentire Fabrizio De André mentre sullo schermo si svolge un combattimento tra gang rivali è un’esperienza quasi surreale, ma proprio per questo affascinante.

Chi conosce il cinema di Gabriele Mainetti sa che non è nuovo a imprese ambiziose. Già con "Lo chiamavano Jeeg Robot" aveva dimostrato che il genere supereroistico poteva essere adattato alla realtà italiana senza risultare artificiale. Il protagonista Enzo Ceccotti, interpretato da Claudio Santamaria, non era un eroe perfetto, ma un uomo qualunque che si ritrovava con poteri straordinari e un destino più grande di lui. Quel film ha ridefinito il concetto di blockbuster italiano, portando a casa otto David di Donatello e guadagnandosi un posto di rilievo nella storia del nostro cinema.

Poi è arrivato "Freaks Out", un altro azzardo riuscito, ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale, dove un gruppo di artisti circensi con abilità fuori dal comune cercava di sopravvivere in un’Europa devastata. Anche in quel caso, Mainetti aveva mescolato generi diversi, tra il fantastico e il drammatico, costruendo un film visivamente straordinario e narrativamente potente.

Con "La città proibita", compie un altro passo avanti, dimostrando che il cinema italiano può e deve osare. L’idea di portare il kung fu a Roma sembrava un’utopia, e invece eccoci qui, a parlare di un film che potrebbe tranquillamente competere con le produzioni internazionali più ambiziose. Se Mainetti è riuscito a rendere credibile il kung fu all’ombra del Colosseo, allora può davvero fare qualsiasi cosa. Magari il prossimo Fast & Furious sulla Tangenziale Est all’ora di punta. Se qualcuno può trasformare un inseguimento sul GRA in un capolavoro d’azione, quello è lui.

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