Il cinema e la "macchina dei sogni"

- di: Paolo Del Brocco
 
Il cinema ha sempre avuto la definizione di “macchina dei sogni”. Se però mettiamo da parte i sogni che il grande schermo riesce a suscitare e puntiamo il nostro sguardo sulla “macchina” che sta dietro un’opera cinematografica, scopriamo che ogni film porta con sé una piccola economia che nasce dal set, cioè dalla produzione, e si sviluppa lungo la filiera dei diritti connessi alle varie finestre di sfruttamento. Un comparto, quello cinematografico, che “pesa” sull’economia del Paese quasi 1,2 miliardi a fronte di investimenti alla produzione di circa 340 milioni di euro . La composizione del piano finanziario di un film appare molto più elaborata rispetto al passato – tra tax credit, ministero, broadcaster, prevendita dei diritti, film commission, investitori esterni, product placement e molto altro ancora – aspetti che hanno contribuito ad una selezione dei produttori più capaci, divenuti dimensionalmente più rilevanti negli ultimi anni. Il numero dei film che ogni anno si realizzano nel nostro Paese rimane elevato: dalle 150 alle 200 produzioni per un costo medio del film pari a circa 1,6 milioni di euro. Numeri che permettono ancora oggi alla cinematografia italiana di essere considerata tra le prime dieci al mondo in termini produttivi. Un’industria non pienamente emancipata, se comparata a quella di altri Paesi, e che conserva delle criticità strutturali, ma che è in grado di mostrare le proprie potenzialità: basti pensare come da ogni euro investito nella produzione cinematografica ne scaturiscano dei valori quadrupli legati alle sole attività dirette della produzione, senza considerare i ritorni culturali che un film riesce ad avere. Investire sul cinema conviene. I risultati ottenuti dal cinema italiano, sono più che proporzionali rispetto al volume degli investimenti impiegati, anche per quanto riguarda la visibilità internazionale e i riconoscimenti ottenuti nei festival più importanti. Ancora oggi tutto parte dalla sala. La situazione non è così catastrofica come molti dicono. Il mercato theatrical (termine inglese con cui ci si riferisce alla sala) è piuttosto stabile e si aggira attorno ai 600/650 milioni di euro di Box Office e i 100 mila biglietti venduti ogni anno. Naturalmente ci sono le eccezioni. È il caso del 2010, quando il botteghino raggiunse la cifra di 730 milioni di euro grazie alla presenza di un film come Avatar, che superò i 65 milioni di Box Office, oppure dello scorso anno, il 2016, durante il quale Checco Zalone ha infranto con il suo Quo Vado? la cifra record di 65 milioni di euro, impensabile per un film italiano fino a qualche anno fa. Effettivamente, da una breve analisi sugli incassi degli ultimi anni emerge come il pubblico sia attratto sempre più dalle “uscite evento”. Nel 2016, soltanto il 7,5% del totale dei film italiani in sala ha incassato oltre 3 milioni di euro (di cui due titoli oltre 10 milioni di euro) ed è altrettanto rappresentativo che le major americane (Warner, 20th Century Fox, Walt Disney, Universal) assorbano da sole quasi il 60% del totale degli incassi del 2016. Il rischio è che la quota di mercato italiana si assottigli sempre più con conseguenze non solo economiche ma anche di tenuta dell’identità del Paese rispetto a prodotti che hanno una produzione estera e quindi un interesse sovranazionale. Siamo infatti passati da un 38% del 2011 al 29% nel 2016. A queste evidenze si aggiungono delle criticità ormai strutturali al nostro sistema cinematografico che rappresentano, allo stesso tempo, la vera sfida e l’opportunità per un ampliamento del mercato. Per prima cosa il target potenziale del cinema rimane inesplorato: circa un italiano su due non va mai in sala per vedere un film, poi troviamo una forte stagionalità, fenomeno tutto italiano, che comprime gli incassi. Basti pensare che i tre mesi più caldi (giugno, luglio e agosto) non “pesano” neanche il 12% sul totale degli incassi annuali . Vi sono poi le difficoltà incontrate negli ultimi anni dalle sale cittadine a cui però la nuova legge cinema va incontro – molte hanno chiuso e altre sono riuscite a trasformarsi migliorando i servizi – nelle quali il prodotto italiano di qualità trova il suo naturale posizionamento. Ancora la pirateria, che influisce pesantemente sulle performance delle nuove uscite. Sono tutti aspetti determinanti su cui poter sviluppare un ragionamento di sistema per permettere al cinema italiano di crescere ulteriormente. Vi è infine un discorso legato ai prodotti sostitutivi che insidiano il cinema e i mercati secondari connessi al film. Fino al 2010 l’home video superava i 600 milioni di euro nel nostro Paese. Oggi questo valore si è praticamente dimezzato anche se avanzano i consumi legati al video on demand (TVod e SVod), pari a 52 milioni di euro nel 2015 . Ma ciò che più caratterizza il consumo domestico, attualmente, è la fruizione delle serie per cui milioni di italiani sono disposti a pagare un abbonamento Pay o SVod, definite da alcuni come il nuovo cinema. Bisogna stare attenti. Cinema e Serie Tv viaggiano su binari diversi, a volte possono incontrarsi, ma non bisogna decretare la sconfitta di un linguaggio rispetto ad un altro. Il cinema ha sempre subito forti trasformazioni ed è sempre sopravvissuto, nasce con la sala e regala ancora oggi una visione unica, sospesa e protetta, non condizionata da elementi esterni. Il linguaggio delle serie deve abbracciare pubblici internazionali diversi tra loro e per questo non può permettersi di approfondire tematiche particolari, aderisce alle esigenze di business degli operatori che le trasmettono e in molti casi le producono – Amazon e Netflix per esempio – giungendo negli ultimi anni ad una fruizione basata esclusivamente sulla non linearità (on demand), sulla fidelizzazione e sulla profilazione dell’utente. Basti pensare come in alcuni casi l’utente effettui delle vere e proprie maratone per vedere un’intera serie nel giro di qualche giorno, senza soste (Binge Watching). Modello diametralmente opposto a quello cinematografico che necessita di tempo e riflessione per l’assimilazione dei significati veicolati. Con l’andare del tempo, il confronto tra le serie e il cinema porterà probabilmente quest’ultimo ad un innalzamento in termini di linguaggio e allo stesso tempo ad una maggiore differenziazione dei prodotti cinematografici che vertono già, sempre più, sul film-evento (per il grande pubblico), sul film-necessario (d’autore e su forti tematiche) e su una nuova tipologia di prodotto, in alcuni casi proposta da esordienti, guidata da sperimentazione o innovazione attraverso una forte commistione di generi (è il caso di film come Jeeg Robot, Smetto quando voglio, Fuocammare, La Mafia uccide solo d’estate, Song ‘e napule, Bella e perduta, Veloce come il vento). Il futuro del cinema risiede ancora nelle storie che si raccontano al pubblico. Lo stesso pubblico che in molti casi ignora il lavoro che esiste dietro la realizzazione di un film ma che è disposto a pagare il biglietto per un racconto, per un sogno lungo un paio d’ore, in grado di suggerire punti di vista e significati su cui riflettere. Il film è solo il traguardo di un percorso lavorativo lungo mediamente due anni e che ha richiesto il lavoro di decine di persone. <<Non ho mai pensato alla parola arte. Il cinema ha a che fare con troppe cose e con troppa gente>> diceva, non a caso ed estremizzando, Frank Capra, tra i più grandi registi dello scorso secolo. Nel cinema gli aspetti economici si intrecciano ai contenuti. Ogni film è in realtà un’alchimia imprescindibile tra questi aspetti ed è per questo che è impossibile separare la “macchina” dai sogni che deve produrre.
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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